Il presidente americano Donald Trump (LaPresse)

Ma allora, questo impeachment?

Paola Peduzzi

Il voto della Camera, le maggioranze, i “manager”, i testimoni (pericolosi), il giudice Roberts e la strada segnata di un processo che non ha risvegliato nessuna coscienza

Mercoledì la Camera americana vota per la messa in stato d’accusa del presidente, Donald Trump.

 

I democratici, che hanno aperto l’inchiesta, hanno pubblicato il documento con l’esito della loro indagine sulle pressioni che il presidente americano ha fatto sull'Ucraina per ottenere materiale compromettente sull'ex vicepresidente democratico Joe Biden che, secondo i sondaggi, potrebbe essere lo sfidante alle elezioni del 2020.

 

Sono 300 pagine scritte fitte. Non le leggerà nessuno, ma in estremissima sintesi: 

 

“Donald John Trump, President of the United States, is impeached for high crimes and misdemeanors and that the following articles of impeachment be exhibited to the United States Senate ... 

Article I: Abuse of Power

Article II: Obstruction of Congress”

 

I tempi del dibattito alla Camera sono decisi dai democratici.

 

Nel 1998, quando a essere indagato e messo in stato accusa fu l'allora presidente Bill Clinton, alla Camera si discusse per due giorni.

  

A questo punto, cioè prima che il dibattito sull'impeachment arrivasse in discussione alla Camera, Richard Nixon si era già dimesso.

 

  

Alla Camera basta una maggioranza semplice per votare l'impeachment. Al momento, ci sono 233 deputati democratici e 197 repubblicani. Servono 216 voti, e molti sostengono che ci saranno.

 

Le previsioni raccolte da Axios:

  • da 4 a 6 defezioni di deputati democratici che sono stati eletti in stati trumpiani: per sapere chi sono un indizio si trova nella lista dei presenti alla festa natalizia organizzata da Trump (con la sempre allegra Melania)

  • nessuna defezione da parte dei repubblicani

  

Se non c'è la maggioranza semplice alla Camera, la storia dell'impeachment finisce qui.

 

Se invece la maggioranza c'è, si va al Senato.

 

La Camera sceglierà una squadra di legislatori che vengono chiamati “manager” che faranno da pubblico ministero al processo al Senato. I manager presenteranno gli articoli dell'impeachment al Senato, che farà da giuria.

 

A presiedere il processo sarà il giudice che guida la Corte Suprema, John Roberts (qui c'è il racconto di come si comportò William Rehnquist quando dovette presiedere il processo a Clinton).

 

 

Il Senato chiederà al presidente di discutere i capi di imputazione. Trump può andare personalmente a rispondere – Clinton non lo fece, né lo fece Andrew Johnson nel 1868 – o mandare i suoi legali. Se il presidente non vuole rispondere alle richieste del Senato, la non risposta vale come una dichiarazione di non colpevolezza.

  

Il leader della minoranza democratica al Senato, Charles Schumer, ha chiesto che vengano a deporre il chief of staff di Trump, Mick Mulvaney, e l'ex consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton. 

  

Questa è la lettera scritta da Schumer. 

 

 

Perché proprio Bolton? La sua fine fu ingloriosa, ha molte cose da raccontare (ha anche firmato per scrivere un libro) e qui si spiega quanto potrebbe essere pericoloso per Trump.

 

 

Alla fine del processo, il Senato dovrà votare: per avere l'impeachment ci vuole la maggioranza dei due terzi su almeno uno dei capi di imputazione (si vota uno alla volta).

 

Oggi ci sono 45 senatori democratici e 53 senatori repubblicani più due indipendenti. Al momento la maggioranza dei due terzi per un voto a favore dell'impeachment e quindi della rimozione di Trump è molto improbabile.

  

I repubblicani difendono il loro presidente, e queste sono le loro ragioni. Trump sta tenendo insieme la sua maggioranza al Senato e il consenso dell'opinione pubblica twittando come se non ci fosse un domani.

 

A proposito di opinione pubblica: già l'impeachment interessava poco, ora proprio quasi niente. E c'è chi dice che i democratici, alla fine, si pentiranno.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi