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Le due anime della Bojonomics e il primo segnale per capire quale prevale

Paola Peduzzi

Oltre la Brexit, che cosa ne farà Boris Johnson di tanta maggioranza? Le ispirazioni thatcheriane e il nuovo elettore Tory

Milano. I Tory inglesi hanno ottenuto un risultato storico al di sopra delle aspettative, e ora che una nuova classe politica andrà a Westminster – prendo il treno per Londra, ringrazio Boris, faccio la Brexit e lavoro per rafforzare l’economia, ha detto Ian Levy, l’infermiere che è uno dei volti della vittoria “bombastica” dei Tory: ha conquistato Blyth Valley, che era del Labour dal 1935 – tutti si chiedono: che cosa ci farà, il premier Boris Johnson, con questa maggioranza cannibale? Da sinistra si alzano cori addolorati: rimodellerà la democrazia britannica “in modo spietato”, ha scritto il magazine di sinistra New Statesman. Ma la democrazia britannica è stata rimodellata dagli elettori, che hanno dato un segnale chiaro e che hanno creduto non soltanto alla promessa di fare la Brexit ma anche a quella di aumentare le spese per sostenere la crescita. Di Brexit se n’è parlato molto e lo si farà ancora nel 2020 quando si aprirà, il primo febbraio, la seconda fase dei negoziati europei, ma uno dei tratti nuovi del progetto introdotto da Johnson nella campagna elettorale è che economicamente è sbilanciato verso il centro (c’è chi dice addirittura a sinistra, ma dipende sempre da dove si parte a osservare lo spostamento).

 

Il punto di svolta è individuabile con precisione: è stato quando il premier ha deciso di scartare la proposta di tagliare le tasse alle aziende e ha invece deciso di aumentare il budget per le spese sociali. I commentatori già allora, era novembre, avevano sottolineato la “cautela” del programma conservatore, ancor più evidente se si considera l’ispirazione thatcheriana ben presente in buona parte dell’entourage di Johnson (e in lui stesso naturalmente). Ma quella scelta era essenziale per la strategia elettorale dei Tory: basta guardare i discorsi spesso emozionati dei nuovi deputati conservatori che hanno determinato lo “swing” straordinario ai danni del Labour per capire che la loro promessa è molto lontana dall’ortodossia liberista. Parlano di aumento della spesa pubblica, di investimenti nei trasporti locali, di migliorare – soprattutto nel nord dell’Inghilterra, dove parte il “muro blu” che ha sostituito in una notte il celebre “muro rosso” laburista – il sistema ferroviario, uno dei temi più sentiti a livello locale. Qui non si parla di taglio alle tasse, semmai si parla di aiuto alle fasce più deboli e a quei lavoratori che hanno deciso di tradire il Labour cui erano legati da anni per credere alla promessa dei Tory. Boris Johnson sa bene che è cambiata la fisionomia del suo elettore e anche dei suoi deputati in Parlamento e nel suo primo discorso pubblico ha esplicitato due elementi rilevanti in questo senso: il primo era appeso sul podio da cui parlava ed è lo slogan “il governo del popolo”; il secondo è nel suo impegno a gestire bene la fiducia che gli è stata data, non soltanto perché così dicono tutti i leader eletti, ma perché sa che è una fiducia molto più variegata e complessa rispetto a quella che ha ereditato dai suoi predecessori.

 

Per definire la BoJonomics oggi ci possiamo basare soltanto sulle promesse elettorali e sulla formazione culturale del premier – che vanno in direzioni opposte. C’è chi sostiene che con questa maggioranza Boris sarà Boris, thatcheriano, liberista, sfrontato nel costruire la temuta “Singapore sul Tamigi” di cui si discute da molto tempo; c’è chi invece dice che il taglio delle tasse non sarà una priorità e che anzi sentiremo parlare di ingenti investimenti in infrastrutture – con fondi pubblici e privati e con il coinvolgimento di attori fondamentali, come i fondi pensione. James Kirkup, direttore della Social Market Foundation e collaboratore del magazine conservatore Spectator, dice che la geografia è il “nuovo rock and roll” e il governo Johnson dovrà lavorare per compensare le differenze enormi in competenze, salari e produttività che ci sono fra le diverse regioni del Regno Unito. Per farlo potrebbe anche dover cambiare il mantra del Tesoro che dice: si investe solo dove si hanno i risultati migliori. La mappa elettorale è cambiata e così cambiano le priorità del governo, che dovranno tenere conto delle richieste sociali, non soltanto riguardo al tanto chiacchierato sistema sanitario, ma anche all’istruzione e alle riforme dell’amministrazione pubblica.

 

Non si sa quale delle due versioni sarà quella corretta, ma non si tarderà molto a scoprirlo: se la Brexit viene “done” in fretta come vogliono anche gli elettori, si inizierà a parlare di competizione, redistribuzione, crescita, spese, austerità calmierata oppure no. Molti dubitano dell’affidabilità di Johnson e delle sue promesse e non sanno dire di che svolte sarà capace ora che ha tanto potere. Intanto la Borsa di Londra ieri non si è tenuta: era talmente sollevata dal pericolo corbyniano scampato che si è concessa una corsa verso l’alto a perdifiato, tirandosi dietro tutto l’entusiasmo blu che ha rimodellato, questo sì, il Regno Unito.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi