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Nel negoziato post Brexit i 27 dell'Ue hanno priorità divergenti

David Carretta

Il premier inglese Johnson esclude una proroga oltre la fine del 2020. Gli interessi degli stati europei e il no deal rimandato

Bruxelles. Il premier inglese, Boris Johnson, vuole vietare per legge il divieto al suo governo a chiedere una qualsivoglia proroga del periodo di transizione post Brexit, e così è scattato nuovamente il conto alla rovescia del “no deal”: tra 378 giorni, se non troverà un’intesa con l’Unione europea su un accordo di libero scambio e una partnership in altri settori, il Regno Unito finirà fuori dal mercato interno, dall’unione doganale, dal programma di ricerca Horizon, dal mandato d’arresto europeo, da Erasmus, da Galileo e da tutti gli altri meccanismi dell’Ue in cui ha interessi a volte vitali. Il 31 gennaio 2020 la Brexit segnerà il recesso formale del Regno Unito, che di fatto uscirà soltanto dalle istituzioni dell’Ue. Durante il periodo transitorio – che scade il 31 dicembre 2020, ma può essere prolungato per uno o due anni con una decisione che deve essere presa entro il 30 giugno – i britannici dovranno continuare a rispettare la legislazione europea e a beneficiare delle sue politiche. Questo purgatorio tra la Brexit formale e la Brexit reale è stato immaginato per dare tempo di negoziare le relazioni future e un accordo commerciale. La Commissione è “preoccupata” dall’annuncio di Johnson perché “il periodo per negoziare sarà molto limitato e sarà problematico negoziare e raggiungere un’intesa su un ampio accordo commerciale”, ha spiegato il suo vicepresidente Valdis Dombrovskis: con un “calendario molto rigido” il pericolo è che “molte cose resteranno fuori” dalla futura partnership.

 

Generalmente ci vogliono anni all’Ue per concludere un accordo di libero scambio con un paese terzo: le trattative con il Canada sul Ceta in tutto sono durate quasi un decennio. Per il post Brexit la Commissione sta già lavorando a una serie di proposte di mandato negoziale per i vari settori che dovrebbero essere inclusi nella futura partnership con il Regno Unito: commercio, pesca, sicurezza, cooperazione di polizia, mandato d’arresto, eccetera. Ma nessuno a Bruxelles è pronto a scommettere su un rapido accordo con Johnson. Il premier britannico è sospettato di voler trasformare il Regno Unito in una Singapore sulla Manica per far concorrenza sleale all’Ue a colpi di dumping commerciale, fiscale, sociale e ambientale. Europarlamento e governi sono in allerta. “Non accetteremo mai un accordo commerciale che permette standard più bassi per i nostri consumatori rispetto a quelli previsti nel mercato interno”, ha avvertito il capogruppo del Ppe, Manfred Weber: “Londra deve essere consapevole di questo: se vuole avere accesso al nostro mercato, deve rispettare i nostri criteri per produrre e vendere prodotti”. Ma, forte della sua supermaggioranza ai Comuni, Johnson punta alla prova di forza e potrebbe approfittare delle divisioni tra i 27.

  

Nei negoziati sull’accordo Brexit, i 27 hanno avuto gioco facile a mantenere la loro unità perché le linee rosse erano comuni e limitate (conto della Brexit, diritti dei cittadini, Irlanda). In un negoziato commerciale, invece, ogni stato membro ha le sue priorità: la Germania le auto, l’Italia il prosecco, la Francia l’agricoltura e la cultura. L’accordo Brexit non sarà solo un negoziato tra Londra e Bruxelles, ma anche tra i 27. Dentro l’Ue si vedono già le prime crepe su quali settori devono essere prioritari. Berlino vuole zero dazi e zero quote. Parigi pensa soprattutto alla pesca. Alcuni ritengono che Johnson stia bluffando, che in un negoziato asimmetrico il Regno Unito ha più da rimetterci degli europei e che alla fine il premier chiederà una proroga della transizione come ha fatto sulla Brexit. Ma ieri Sabine Waynant, che guida la direzione generale Commercio della Commissione, ha lanciato un avvertimento serio: meglio “prendere seriamente il fatto che il Regno Unito non intenda scegliere una proroga della transizione” e prepararsi a “un’altra situazione precipizio”. Lo scenario del “no deal” con le code a Calais è solo rinviato.

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