La competizione con il Regno Unito è una grande occasione per rafforzare l'Ue

Pier Carlo Padoan

Brexit costringerà l’Ue ad accelerare tutti i meccanismi per avere “risorse proprie” adeguate. Occhio alla sfida fiscale da Londra. I futuri guai green di BoJo

E’ forte la tentazione di assegnare la qualificazione di “storica” alla sequenza di eventi della due giorni europea (12 dicembre elezioni in Regno Unito, 12-13 dicembre Consiglio europeo e Eurosummit). Le prime hanno dato il via alla fase conclusiva della vicenda Brexit. Che ora si dovrebbe concludere e passare alla fase dei negoziati tra Londra e Bruxelles. I secondi hanno posto sul tavolo questioni assai rilevanti per il futuro della costruzione europea: il Green Deal, la riforma del bilancio dell’Unione, gli sviluppi dell’Unione bancaria e, naturalmente, il Mes. Per non parlare delle relazioni esterne e della riforma del Wto. Temi che nel loro complesso dovranno delineare la strategia di legislatura di Parlamento e Commissione. Strategia tanto più importante in quanto la geopolitica e l’economia globale richiedono un’Europa proattiva, propositiva, concreta e soprattutto unitaria. Quello che rende “storico” questo weekend sembra essere la presa d’atto che l’Europa si separa (e basta) e che quindi siamo all’inizio di un fase appunto storica “senza la Gran Bretagna”. In alcuni casi sarà così ma in altri la Brexit potrebbe impattare sulla definizione della strategia dell’Unione più di quanto si possa credere. In tema di crescita sostenibile e di cambiamenti climatici (che ha trovato l’opposizione della Polonia) la sfida per l’Unione è quella di mutare modelli di produzione e di consumo, di guidare una transizione che richiederà risorse ingenti e un quadro regolatorio efficace e credibile per poter raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Il quadro regolatorio e le risorse sono elementi necessari per coinvolgere il settore privato, le imprese, che dovranno modificare modelli di business, scelta di prodotti, nuove tecnologie. Le risorse necessarie sono ingenti e poco potrà fare l’eventuale esclusione degli investimenti verdi dal computo dei deficit di bilancio nazionali. Il Fondo per una transizione equa sembra ambizioso e cospicuo ma secondo alcune valutazioni potrebbe essere largamente sottostimato. Un’Europa indirizzata verso produzioni più verdi sarà in grado di definire standard e carbon tax che non potranno essere ignorati da Londra nella sua trattativa (e potrebbero porre dei problemi a Londra in un eventuale negoziato con gli Stati Uniti). Ma che potrebbe spingere il Regno Unito ad atteggiamenti più bilaterali e aggressivi che in passato.

 

L’ammontare di risorse necessarie per il Green Deal porrà problemi alla definizione del bilancio europeo attualmente sotto negoziato. Sarebbe necessario un ripensamento delle priorità oltre che degli strumenti. Le nuove priorità dovrebbero conciliare obiettivi di competitività e coesione interna con obiettivi “ad alto valore aggiunto europeo” verso l’esterno: la sicurezza, la difesa, la tecnologia, l’immigrazione, obiettivi tanto più necessari in un quadro di crescente conflitto geopolitico e di indebolimento del multilateralismo. L’uscita del Regno Unito riduce le risorse disponibili per il bilancio e fa presagire un negoziato complicato.

 

Sorge quindi il nodo delle risorse a disposizione per il bilancio per il futuro. Risorse già decurtate dall’uscita della Gran Bretagna. La presidenza di turno, la Finlandia, ha messo sul tavolo proposte assai conservatrici. Al di là degli aggiustamenti sui decimali sarebbe tempo che l’Unione si dotasse di “risorse proprie” adeguate. Le proposte non mancano e si possono estendere oltre l’introduzione di imposte europee fino alla introduzione di un “debito europeo”.

  

La riforma del Bilancio poi dovrebbe essere l’occasione per dotare l’Eurozona di uno strumento di stabilizzazione che sarebbe un passo importante verso una capacità fiscale autonoma dell’Europa. Indispensabile per sostenere misure di politica strutturale e di politica monetaria (che sta raggiungendo i suoi limiti). Ma tale aspetto non è presente nelle conclusioni del Consiglio.

  

In tema di Unione bancaria si deve ribadire la necessita di completarla con l’introduzione dell’assicurazione comune sui depositi e la contrarietà a meccanismi di ponderazione del rischio sui debiti sovrani.

  

Il voto sul Mes è stato posticipato per dare il tempo di introdurre alcune modifiche migliorative, soprattutto in tema di Cacs . Un risultato chiesto a gran voce dal governo italiano. L’Unione bancaria e, soprattutto, il completamento dell’Unione dei mercati dei capitali rappresentano infine i temi su cui la Brexit avrà probabilmente il maggiore impatto, soprattutto nel medio periodo. Con la Brexit infatti l’Unione europea perde, di fatto, il suo centro finanziario più importante. E’ difficile immaginare che questo ruolo sarà ricoperto da un singolo centro finanziario nell’Unione. Parigi, Francoforte, Amsterdam e forse Milano potranno, con ogni probabilità, fornire funzioni specifiche tipiche dei mercati finanziari di oggi. Ne potrebbe derivare una fase di competizione anche agguerrita che richiederà uno sforzo aggiuntivo da parte delle autorità di Vigilanza dell’Ue. Competizione che potrebbe essere alimentata dallo stesso Regno Unito, per esempio in tema di politiche di tassazione. Insomma dopo la separazione, comincerà una nuova fase guidata da nuovi princìpi strategici al di qua e al di là della Manica. Il “post Brexit” continuerà a impegnarci per molto tempo a venire.