Matthew Alexander, Paul Howell e Dehenna Davison con Boris Johnson (foto via Facebook)

Arrivano a Westminster i “Boris baby”

Paola Peduzzi

I simboli della nuova destra inglese tanto diversa dal padre

La sciarpa azzurra, il trolley, l’aria impacciata ed emozionata della prima volta: i nuovi deputati conservatori eletti giovedì scorso in molte circoscrizioni storicamente laburiste sono arrivati ieri a Londra, con il loro carico di energia e aspettative, i “Boris’s baby” come li ha definiti il Sunday Times. Dehenna #GetBrexitDone Davison, neoeletta a Bishop Auckland che ha l’hashtag della vittoria nel nome su Twitter (e nella bio dice che il suo nome fa rima con Vienna), si è già fatta portavoce dei figli della rivoluzione del premier, Boris Johnson.

 

 

La Davison ha 26 anni, ha vinto un seggio che era laburista dal 1935, si è appena separata dal marito di trentacinque anni più anziano di lei – l’anno scorso era andata alla trasmissione “Bride and Prejudice” per ottenere la benedizione del nonno che aveva solo otto anni in più dello sposo – e un omicidio in famiglia, quello di suo padre, quando lei aveva solo tredici anni, che le ha dato una sensibilità forte per le ingiustizie, le stesse contro cui vuole combattere ora che avrà la possibilità di farsi sentire a Westminster. Come la Davison, molti altri dei centonove nuovi deputati conservatori hanno storie e formazioni molto diverse rispetto al politico conservatore cui siamo abituati: è stata questa la loro forza in campagna elettorale, il volto umano a un partito che a Londra mostrava sempre e soltanto il suo approccio “nasty”, scuole pubbliche, famiglie della working class. La Davison fa parte, assieme ad altri sette eletti under 30, dei “Boris’s baby”: non c’è Eton in nessun curriculum, non siamo come pensate, ha detto Sara Britcliffe, che ha 24 anni ed è la più giovane del gruppo (ha vinto a Hyndburn, dove non c’è mai stato un conservatore al potere da quando è nata). Famiglie numerose, pochi soldi in casa e tanto ingegno, l’amore per le proprie terre e città, per quanto periferiche e poco cool: i nuovi deputati conservatori rispondono a questi requisiti, la strategia per tirare giù il muro rosso laburista è stata questa, semplice, comprensibile, locale. La Brexit era in tutti i discorsi dei candidati che ora a Westminster vogliono risolvere in fretta e bene la questione, ma poi c’era e ci sarà molto altro, “la religione della nazione” come viene chiamato il sistema sanitario nazionale soprattutto – Boris voleva riformarlo, ora ne diventerà, scrive James Forsyth sullo Spectator, “il sacerdote” più alto in carica – e poi il trasporto locale, la criminalità, tanto anche la solitudine, di cui molti parlano a voce alta perché non c’è più voglia di nascondere questo male nazionale.

 

 

Questi figli di Boris non assomigliano troppo al padre che rappresenta il politico conservatore posh e cosmopolita, belle scuole, bella vita, e infatti ora tutti si chiedono come sarà la convivenza, se davvero il premier saprà guidare e all’occorrenza domare questa famiglia cresciuta in fretta e molto lontana culturalmente da lui o se questo frutto di una strategia elettorale vincente – delineata dal solito Dominic Cummings, guru della nuova destra johnsoniana – si dimostrerà amaro e indigeribile. I figli ora non vogliono presentare alcuna recriminazione, sono grati dell’occasione e parlano dei loro sogni che sono molto liberali: Jacob Young, 26 anni impiegato nel settore chimico ora deputato di Redcar (non aveva nemmeno scritto il discorso della vittoria, determinata da uno swing di voti del 15,4 per cento), racconta di essere fidanzato con un ragazzo che spera di sposare nella cappella di St Mary Undercroft, nel palazzo di Westminster. Questo è il Parlamento più gay della storia, ha scritto il Times, e sono soprattutto i conservatori a portare avanti la battaglia per i diritti lgbt, e ricordano a tutti che lo stesso Boris, quando era sindaco di Londra, aveva partecipato al gaypride del 2008 con un orgogliosissimo cappello da cowboy rosa e luccicante. Non ci sono contraddizioni, c’è una trasformazione, dicono i Boris’s baby, che ieri sera hanno partecipato alla festa per loro organizzata dal premier – sono arrivate casse di vino all’ultimo, non ci si aspettava tanta maggioranza – e hanno brindato pieni di gratitudine. Ora dobbiamo rispettare e salvaguardare la fiducia che ci è stata data, ha detto Johnson: parlava ai figli, parlava a sé.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi