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Il mondo da un oblò

Il duo anglosassone non ci è mai parso tanto lontano e distratto, visto dall'Europa

Paola Peduzzi

Gli europei hanno trascorso insieme la nottata elettorale inglese. Il 2020 sarà decisivo per il triangolo Bruxelles-Londra-Washington

Milano. I leader europei hanno trascorso insieme la nottata elettorale britannica al vertice di Bruxelles, senza gli inglesi, naturalmente: bisognerà farci l’abitudine. Dall’altra parte dell’Atlantico, con tutta probabilità il presidente Donald Trump avrà seguito le gesta del “suo” Boris Johnson dalla “war room” di cui parlano tutti: quella creata apposta per gestire l’impeachment al grido “non abbiamo fatto niente di male, la verità è dalla nostra parte”. Tutti gli occhi sono sul Regno Unito, come ci è capitato spesso, sempre anzi, perché quella è terra di ispirazione e di idee e di contaminazioni culturali e politiche molto potenti sul continente. Tra qualche settimana gli occhi si sposteranno verso l’America, l’altro centro di ispirazione – è il duo anglosassone questo, ne siamo dipendenti – che inizia le primarie e cerca di capire se Trump è un corpo estraneo come abbiamo spesso voluto credere in questi tre anni o se è l’espressione, al secondo mandato, dell’America di oggi.

 

 

Il 2020, per l’Europa incastrata tra la voglia di fuga britannica e l’isolazionismo americano, sarà un anno decisivo ancorché doloroso. Di tutti gli stravolgimenti vissuti in questa stagione, lo scardinamento della fiducia che gli europei hanno sempre riposto sull’asse anglosassone è il più grande. Il Regno Unito è diventato al tempo stesso il simbolo e il rifiuto dell’europeismo, con il risultato che tutti, europei e inglesi, sono rimasti ammaccati e soprattutto sconfortati: ci si può fidare ancora l’uno dell’altro, con lo stesso trasporto? I realisti ricordano che la storia europea del Regno Unito è brevissima, in fondo sono entrati in Europa quarantacinque anni fa, non è certo la recente convivenza brussellese che farà, nel lungo periodo, la differenza. Ma in questi decenni il mondo è cambiato, l’interconnessione è cambiata, non siamo più in grado di ragionare con le categorie degli anni Settanta, non soltanto per istinto romantico, anzi: difesa, sicurezza, intelligence, commercio, innovazione, finanza, ogni cosa è diventata un progetto condiviso. Ora chissà. Con l’America poi, non ne parliamo. I presidenti passano, ci continuiamo a ripetere, e i sistemi internazionali sono ben più solidi delle antipatie trumpiane, ma stiamo già sperimentando gli effetti di una relazione sfilacciata, dalle minacce di dazi in poi.

 

 

Il mondo anglosassone non è mai sembrato tanto lontano e distratto, visto dall’Europa, e il senso di sfiducia è grande. All’Europa resta la possibilità di reagire: lamentandosi e ricadendo nei propri errori di immobilismo, o facendosi sentire. Il duo anglo-americano potrebbe infine accorgersi che il rapporto con l’Europa non è disfunzionale: è ancora un’opportunità. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi