La protesta degli agricoltori a Parigi lo scorso 27 novembre (foto LaPresse)

L'Europa e tutte le sue piazze

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Dal megasciopero anti Macron fino alle proteste dell’est. Linea dura o linea morbida?

Nel suo secondo giorno a Londra per il vertice della Nato, il presidente americano Donald Trump ha stilato la lista dei “delinquenti”, cioè degli alleati che non contribuiscono a sufficienza al mantenimento della Nato (la soglia è il 2 per cento del proprio pil). Il Canada di Justin Trudeau ieri mattina era soltanto “leggermente delinquente” con l’1,3 per cento del pil destinato alla Nato, ma poi il video trapelato da Buckingham Palace lunedì sera è diventato virale, e tutto è cambiato. Nel video alcuni leader politici (e la principessa Anna) sembrano ridere di Trump, e così Trudeau non sarà un megadelinquente, ma è “two-faced”, uno doppio, quindi falso, quindi ipocrita, quindi inaffidabile, secondo Trump. 

  

 

Il quale ha cancellato anche l’ultima conferenza stampa a fine incontro: ne ho già avuti troppi, torno a casa appena posso, ha tuittato Trump, “safe travels to all!”.

 

 

E’ difficile in ogni caso scalzare dalla cima della lista trumpiana la delinquentissima Germania, che pure investe l’1,3 per cento e aumenta ogni anno: Angela Merkel “ci deve dei soldi”, ha detto Trump, dovrebbe pagare gli arretrati di “25 anni” per riportare l’equilibrio, e se si ostina a non assolvere alle sue responsabilità toccherà punirla, su un altro fronte, quello commerciale. Il format è sempre lo stesso, Trump lo ha utilizzato il giorno precedente con la Francia di Emmanuel Macron: dice che la linea dura con i riottosi è utile, stanno tutti dando più soldi alla Nato da quando lui ha descritto bene la lista dei delinquenti. Se con questo metodo si salvi la Nato oppure no non sembra preoccupare molto Trump, ma i metodi bruschi del presidente americano ci danno lo spunto per parlare di un tema più grande, che non ha a che fare con l’America né con la Nato, ma con la gestione dei riottosi o rivoltosi o manifestanti o scioperanti – le piazze europee ne sono piene. Che fare, linea dura o linea morbida?  

 

Il primo a dover rispondere sarà lo stesso Macron, che ha già una certa esperienza con le proteste – un anno fa di questi tempi Parigi era inavvicinabile di sabato a causa dei gilet gialli – e che oggi deve affrontare un supersciopero contro la riforma delle pensioni che riporta la memoria al 5 dicembre del 1995, che allora fu considerato il giorno in cui la piazza vinse contro il governo e lo costrinse a un passo indietro sulle riforme. Danielle Tartakowsky, storica degli scontri sociali francesi, ha detto al Monde che la forza di quest’anno sarà ancora più grande: ha parlato di “un tifone” in arrivo. Partecipano quasi tutte le sigle sindacali, le scuole saranno pressoché inaccessibili, i trasporti saranno stravolti, compresi quelli aerei. I giornali pubblicano le liste di app da scaricarsi in fretta, sia per controllare l’andamento di treni, autobus e metropolitane sia per cercare veicoli alternativi – vélo e trottinette in particolare, anche se la nostra preferita è Felix-Citybird: sali su un motorino elettrico dietro a un autista che ti porta dove desideri. Come reagirà il governo francese? Intanto senza sorprendersi: sappiamo che ci sarà un’enorme protesta, siamo pronti. Poi: non vogliamo lo scalpo di nessuno. L’ufficio del primo ministro Edouard Philippe fa sapere di non voler “gettare olio sul fuoco”, l’obiettivo è aspettare che la “grogne” passi. 

Il governo vuole riaprire i negoziati con le parti sociali, fare breccia nel muro che soprattutto gli “insoumis” di Jean-Luc Mélenchon vogliono costruire quando dicono: non accetteremo nulla che non sia il ritiro della riforma. Ma il 75 per cento dei francesi, secondo le rilevazioni, pensa che la riforma sia necessaria, Macron deve convincerli che il suo approccio sia quello giusto. Con una linea dialogante, per cominciare.

 

Il cuore della giustizia polacca. I polacchi sono abituati a manifestare, lo fanno con slogan forti che richiamano le battaglie del passato e con la bandiera polacca in una mano e con quella europea nell’altra. A scatenare le ultime proteste è stata la rimozione di un giudice, Pawel Juszczyszyn, che aveva criticato la nomina di un altro magistrato avvenuta secondo le regole della riforma della magistratura voluta dal partito al governo, i nazionalisti del PiS, e contestata dall’Ue perché contraria allo stato di diritto. La riforma prevede che le nomine dei magistrati spettino al Consiglio nazionale della magistratura, i cui membri sono decisi dal governo. Juszczyszyn è diventato il volto della lotta contro l’esecutivo che non si pone problemi di linea, dura o morbida, ma si limita a ignorare le proteste dei cittadini che a Varsavia si sono ritrovati sotto al ministero della Giustizia, scandendo la parola Kon-sty-tu-cja (costituzione), ormai mantra di ogni protesta.

 

La piazza di Praga e Kundera. In tutto l’est Europa il 2019 è anno di anniversari, ognuno ha il suo, ognuno ha la sua rivoluzione, ma tutti trent’anni fa stavano vincendo la loro lotta contro il comunismo. Anche Praga, che commemora la rivoluzione di Velluto mentre manifesta contro il primo ministro Andrej Babis, leader del partito Ano che in Europa siede tra i liberali di Renew Europe. Babis è accusato di aver usato dei fondi europei per le proprie aziende e i cechi ne chiedono le dimissioni. Contro di lui Praga è riuscita a riempire la spianata del Letna con 250 mila persone, le manifestazioni più numerose dalla fine del comunismo, dimostrando di avere una società civile attiva e viva, ma non è riuscita a demolire il primo ministro che nonostante i guai giudiziari rimane amato, apprezzato e votato e sa che la linea dura non lo porterà da nessuna parte, non si dimette, ma è pronto a dialogare. Babis è un europeista, dal suo partito viene anche l’apprezzato commissario Ue Vera Jourová, è un liberale atipico che piace ai cechi ma non dispiace nemmeno ai colleghi europei e che in questi mesi ha fatto di tutto per ridare a Milan Kundera la cittadinanza. Babis adora lo scrittore ceco, che vive in esilio in Francia dal 1979, era un oppositore del regime comunista. Durante una visita a Parigi, tra un incontro all’Eliseo e la commemorazione per la fine della Prima guerra mondiale, e dopo aver pranzato con lo scrittore e sua moglie, aveva fatto la promessa di restituirgli la cittadinanza. Questa settimana Kundera, dopo quarant’anni, è tornato ceco: può fare ritorno a Praga non soltanto da europeo, ma anche da cittadino. Si troverebbe davanti una nazione molto diversa da quella che ha lasciato, che protesta contro colui che gli ha ridato la cittadinanza e che nel farlo commemora la liberazione dal comunismo. Per i manifestanti non c’è discontinuità tra la rivoluzione di Velluto e le proteste contro Babis, chiedere le sue dimissioni è un modo per commemorare la lotta contro un regime.

 

Malta senza opposizione. In un editoriale molto severo, il Monde chiede all’Ue di non voltarsi dall’altra parte, perché ci sono paesi in cui lo stato di diritto non è scontato e l’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, che morì per una bomba esplosa sotto al sedile della sua auto, non è avvenuto “in una lontana Repubblica delle banane, ma a Malta, il più piccolo dei paesi dell’Ue”. Il Parlamento europeo ha inviato una delegazione a La Valletta per controllare dopo che le proteste proseguivano e il primo ministro Joseph Muscat aveva annunciato che si sarebbe dimesso, ma soltanto a gennaio, mostrandosi così disponibile ad ascoltare i manifestanti, per lui la linea morbida è l’unica opzione. Il capo della delegazione, l’olandese Sophie in ’t Veld, ha detto di aver trovato una situazione ben peggiore di quella che si aspettava e che il premier dovrebbe dimettersi “immediatamente perché ha commesso gravi errori giudiziari e rimanere in carica sarebbe un ulteriore errore”. La situazione a Malta è esplosa dopo l’arresto dell’oligarca Yorgen Fenech, accusato di essere il mandante dell’omicidio. L’oligarca ha iniziato ad accusare vari membri del governo di Muscat, incluso il suo capo di gabinetto e suo amico personale, Keith Schembri. Non ci sono prove contro Muscat, ma le manifestazioni crescono con una forza e una costanza che avvicinano il caso Caruana Galizia all’omicidio di un altro giornalista, in un altro paese europeo: la morte di Ján Kuciak in Slovacchia, dove le manifestazioni avevano portato alle dimissioni del governo e avevano aperto un varco a una voce fino a quel momento inascoltata, quella dell’avvocato europeista Zuzana Caputova, poi eletta presidente. Immaginare una nuova politica maltese non è facile, da anni l’isola è chiusa nel dualismo tra il Partito laburista di Muscat e il Partito nazionalista di Adrian Delia.

 

“Szabad Egyetem”. Lunedì a Bruxelles sarà proiettato il documentario “Università libera” sulla Central Eastern University, l’università di George Soros. Il film di 54 minuti racconta la campagna contro la Ceu che ha portato l’istituto a spostare buona parte delle sue attività da Budapest a Vienna. Non si tratta soltanto di denunciare quel che è accaduto a un’università privata di un filantropo liberal ungherese-americano: la Ceu è un ponte culturale tra l’est e l’ovest, se crolla si fa male tutta l’Europa, anche noi.