Il premier francese Édouard Philippe (foto LaPresse)

Il segreto dell'armonia tra Macron e il suo premier si scopre di mercoledì

Mauro Zanon

I disaccordi ci sono, certo, i sospetti della cerchia ristretta del presidente sulle ambizioni del primo ministro, pure, ma ciò che rende stabile la coppia Macron-Philippe è la capacità di tenere i conflitti segreti

Parigi. “Ha cercato il migliore per portare avanti il suo programma di trasformazione”, sussurrò l’allora portavoce del governo francese, Christophe Castaner, al termine della cerimonia in cui Édouard Philippe ricevette dalle mani del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, la grand croix dell’ordre national du Mérite, onorificenza istituita da Charles de Gaulle nel 1963. Lo ha cercato e lo ha trovato, secondo la maggior parte degli osservatori, e c’è chi dice che la relazione tra l’inquilino dell’Eliseo e il capo dell’esecutivo sia “la migliore dai tempi di De Gaulle e Pompidou”. Nessuno aveva mai svolto così bene il ruolo di fusibile del capo dello stato nella storia della Quinta Repubblica, di scudo del “monarca” contro le violenze della strada e dell’opposizione. Eppure questa “strana coabitazione”, come la definisce il Monde, tra un consigliere di stato e fine conoscitore della politica à l’ancienne, Philippe, e un ex banchiere con la fregola di diventare scrittore, Macron, lasciava presagire burrasche e regolamenti di conti sulla pubblica piazza, più ancora di quelli che la Francia ha vissuto nel quinquennio Sarkozy-Fillon. I disaccordi ci sono, certo, i sospetti della cerchia ristretta del presidente sulle ambizioni del primo ministro, pure, ma ciò che rende stabile la coppia Macron-Philippe è la capacità di tenere i conflitti segreti, è l’aver creato una “scatola nera impenetrabile”, come l’ha descritta il Figaro, da cui non trapela nulla o quasi.

 

“E’ da due anni e mezzo che pranzano assieme ogni settimana, e non c’è mai stata alcuna fuga di notizie sulla stampa”, ha detto Benjamin Griveaux. Se c’è una divergenza di vedute su una determinata misura, un punto di vista contrastante su una strategia, o un rimprovero su una certa posizione, si risolve nella loro riunione tête-à-tête del mercoledì mattina all’Eliseo, e ciò che si dicono rimane tra quelle mura, al punto che spesso nemmeno i fedelissimi sono al corrente dei loro piani. “La questione dell’allineamento tra il presidente e il primo ministro torna spesso al centro delle discussioni. La realtà è che nessuno ha mai saputo nulla, nemmeno i loro più stretti collaboratori”, dicono a Matignon, sede del governo. Non vogliono riprodurre gli stessi errori dei loro predecessori, dove ogni discrepanza tra Eliseo e Matigon si traduceva in un’impasse, in una perdita di efficacia della macchina dell’esecutivo. Non c’è la tensione che caratterizzò la relazione Hollande-Valls, non c’è il disprezzo che Sarkozy provava verso Fillon, né quella di Mitterrand verso Rocard, ma “la lealtà” tra i due “non esclude l’autonomia”, come scrive il Monde.

 

Philippe, come Macron, vuole imporre la sua visione, prestando molta attenzione alla spesa pubblica, ai conti in ordine, al contenimento di certe esuberanze finanziarie del capo dello stato. “Il presidente vuole andare a Nizza in Porsche correndo a 300 chilometri all’ora e il primo ministro gli dice che non è possibile, perché ci sono dei limiti di velocità da rispettare”, ha riassunto al Monde in forma anonima uno dei generali della maggioranza. Sull’abbassamento del limite di velocità a 80 chilometri orari nelle strade extr-urbane promosso da Philippe, misura che Macron non aveva incluso nel suo programma di candidato di En Marche!, c’è stata un po’ di maretta, ma a distanza, a colpi di fioretto, senza clamore. E se la riforma delle pensioni alla fine si farà, il merito non è soltanto del compromesso raggiunto con la Cfdt, il sindacato riformista guidato da Laurent Berger, ma anche della relazione tra il presidente e il primo ministro, sottolinea il Figaro. Nonostante la sua propensione all’iperprepresidenza, Macron ha lasciato ampi margini di manovra al suo premier. Nel governo, assicura un macronista beninformato, “ci sono tre persone che sognano la presidenziali: Bruno Le Maire, Gérald Darmanin e Édouard Philippe”. Ma quest’ultimo “ha nel mirino il 2027”. Fino al 2022, Macron può forse dormire sonni tranquilli.

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