Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena negli anni Ottanta. Entrambi furono giustiziati il 22 dicembre 1989 (LaPresse)

Ceausescu, umanista e dittatore

Giulio Meotti

Trent’anni fa cadeva il dittatore rumeno e con lui il comunismo in Europa. Un libro racconta l’agiografia che ne fu fatta da giornalisti e politici

La fine del comunismo in Europa coincise con la loro fucilazione. Fu una satrapia duocratica quella di Nicolae ed Elena Ceausescu, il conducatòr vegetariano che disobbedì a Mosca flirtando con l’occidente e facendosi perdonare metodi alla Pol Pot, l’apprendista calzolaio che si faceva confezionare gli abiti con stoffa pregiata importata, l’“amico del popolo” che impose al popolo l’autarchia socialista e che dal popolo fuggì con un elicottero sul tetto del suo faraonico palazzo presidenziale, per essere poi abbattuto da una raffica di mitra il giorno di Natale di trent’anni fa. Una surreale monarchia socialista familiare dove anche la carta era di tale scarsa qualità che i libri si deterioravano rapidamente, dove un cittadino su tre era informatore della Securitate, dove migliaia di orfani contrassero l’Aids e i manicomi si riempirono di oppositori, dove si realizzò la “piena uguaglianza” tramite la fame, dove fu istituito il coprifuoco domenicale, dove la televisione trasmetteva soltanto immagini di propaganda dei coniugi con musichette di sottofondo, dove le luci delle strade venivano spente e quelle delle case non dovevano superare la quota fissa di watt, dove fu razionato non solo il carburante ma anche il cibo (cinque uova e cinquanta grammi di burro al mese) in nome della “lotta all’obesità”, dove i maiali venivano esportati all’estero tranne i piedi di porco che rimanevano in patria a “sfamare” la popolazione, dove si calcola che oltre diecimila persone siano sparite, mentre nelle regge presidenziali divennero leggendari gli arredamenti da Re Sole, l’argenteria, le pellicce, i marmi.

 

Il giornalista francese Hamelet scriveva che il dittatore romeno “trasmette energia mentale” e che aveva aperto “una nuova èra”

Ceausescu è il settimo dittatore nella galleria appena pubblicata da Frank Dikötter al fianco di Mussolini, Hitler, Stalin, Mao, Kim Il-sung, Duvalier e Mengistu. E’ Ceausescu la figura più sorprendente, perché Dikötter spiega come il suo inferno fu reso possibile grazie all’alacre agiografia di alcuni europei. Scrive Dikötter in “How to Be a Dictator: The Cult of Personality in the Twentieth Century” che le dittature possono fare affidamento su “forze militari, polizia segreta, guardia pretoriana, spie, informatori, interrogatori e torturatori”, ma un tiranno può rimanere al timone per decenni soltanto grazie a un altro strumento: “L’illusione del sostegno popolare”. Racconta Dikötter che, quando morì Mao, le persone maltrattate dal regime “sapevano piangere su richiesta” in pubblico. E ogni dittatore ha soprattutto avuto bisogno dei propri intellettuali. Dikötter fa l’esempio di George Bernard Shaw: “Ebbe una guardia d’onore militare a Mosca e un banchetto per celebrare il suo settantacinquesimo compleanno. Girò il paese, visitando scuole modello, prigioni e fattorie, con abitanti dei villaggi e operai attentamente addestrati per lodare il partito e il loro leader. Il drammaturgo irlandese trovò Stalin un ‘affascinante compagno’. Shaw non si stancò mai di promuovere il despota e morì nel 1950 nel suo letto con un ritratto del suo idolo sul caminetto”.

 

Anche il mediocrissimo Ceausescu fu molto astuto e seppe trovare quegli intellettuali negli europei. Racconta Dikötter che “Ceausescu era ansioso di acquisire un biografo di corte. E ha trovato un complice volontario in Michel-Pierre Hamelet, un giornalista francese che lavorava per il Figaro e che aveva accompagnato il Segretario Generale del Partito Comunista Francese in Romania nel 1967. Hamelet era stato immediatamente catturato dal suo ospite: ‘Sono stato colpito dal fuoco nei suoi occhi, l’energia mentale che trasmettevano, il sorriso ironico che gli illuminava costantemente il viso’”.

 

“Nel 1971 pagò il quotidiano italiano L’Unità per pubblicare un supplemento sul Partito Comunista Rumeno”

L’agiografia di Hamelet uscì in Francia nel 1971. Il giornalista francese vi descrive Ceauşescu come un “umanista appassionato” che ha annunciato nient’altro che “l’avvento di una nuova era”, quella in cui le relazioni sociali sarebbero state ricostruite secondo una nuova ideologia. “La Romania ha conosciuto uno sviluppo fenomenale sul piano interno ed estero, è una delle più notevoli realizzazioni del nostro tempo. Ceausescu ha ridotto il bilancio militare e, con le economie realizzate, ha aumentato gli assegni familiari”. Hamelet racconta di un ragazzo poverissimo e che andava a scuola a piedi nudi, troppo povero per comprare libri, ma era sempre il migliore della classe. Hamelet ha intervistato il suo insegnante, che ha ricordato che Nicolae eccelleva in matematica ma era, soprattutto, “un vero compagno per gli altri”. “Nulla dell’essere umano lascia (Ceausescu) indifferente. L’appassionato umanesimo di un comunista di seconda generazione mi sembra sempre più l’annuncio di una nuova era”. E ancora: “Le idee, i suggerimenti del presidente Ceauşescu sono accolti con interesse e con uguale entusiasmo dai rumeni”. L’opera prima di Hamelet, “Nicolae Ceausescu: Présentation, choix de Textes”, fu pubblicata nel 1971 dalle edizioni francesi Seghers e apparve poche settimane dopo in una traduzione romena, “Nicolae Ceausescu. Biografie si texte selectate” pubblicata dalla principale casa editrice del regime, l’Editura Politica. Il giornalista francese fu ricompensato dalle autorità romene attraverso la medaglia di prima classe “per meriti culturali” conferita personalmente da Ceausescu.

 

“Hamelet non fu l’unico reclutato per promuovere l’immagine del ragazzo contadino che attraverso il duro lavoro, il coraggio e il puro talento superò le avversità per diventare un leader socialista” scrive Dikötter. Nel 1972 l’inglese Donald Catchlov fu arruolato dal dittatore romeno per scrivere un’altra agiografia: “Ceausescu è diventato materiale da Premio Nobel per la pace e i suoi discorsi e scritti sono ripresi dalle Nazioni Unite come elementi di base per il comportamento internazionale”. “Questa fu seguita dal ‘Ceauşescu’ di Heinz Siegert in tedesco nel 1973 e dal ‘Ceauşescu’ di Giancarlo Elia Valori in italiano nel 1974” scrive Dikötter. “Ceauşescu, attraverso il Dipartimento di Propaganda e Agitazione, approvava lui stesso ogni dettaglio, fino al numero di copie da stampare. Nel 1976, Mihai Steriade, autore di un opuscolo intitolato ‘La presenza e il prestigio di un umanista: Nicolae Ceauşescu’, chiese ottomila dollari per assisterlo nella ‘propaganda’ in Belgio. Ceauşescu ha rivisto personalmente l’importo al ribasso a cinquemila dollari. Il Dipartimento Propaganda ha anche assicurato che l’immagine del leader fosse promossa all’estero con altri mezzi. Nel 1971, ad esempio, pagò al quotidiano italiano L’Unità circa cinquemila dollari per pubblicare un supplemento sull’anniversario del Partito Comunista Rumeno”.

 

Un’altra importante biografia del dittatore fu scritta da Giancarlo Elia Valori e pubblicata dall’editore romano Bulzoni nel 1974. L’anno dopo uscì una traduzione francese del libro di Valori. In Inghilterra, un anno prima che i romeni si liberassero di Ceausescu, il giornalista Robert Govender pubblicava il libro “Ceausescu e la via romena al socialismo”, elogiandone il “combattente per la pace”.

 

Il magnate dell’editoria inglese Robert Maxwell, il laburista capace di creare un impero editoriale che andò dal Mirror di Londra al Daily News di New York, dalla Macmillan (pilastro dell’editoria americana) alla modenese Panini, pubblicava intanto una grottesca opera encomiastica dal titolo “Nicolae Ceausescu: Builder of Modern Romania and International Statesman”. “Mi dica, signor presidente, come si spiega la sua popolarità presso il popolo?”, domandò Maxwell a Ceausescu poco prima che il popolo rovesciasse la tirannia socialista romena. Maxwell si sarebbe specializzato in altre biografie incensanti dei satrapi comunisti, da Eric Honecker della Ddr al bulgaro Todor Zhivkov, l’autocrate europeo più longevo dai tempi di Luigi XV, il padre-padrone “alleato di Mosca” per antonomasia, per il quale “Unione Sovietica e Bulgaria respirano con gli stessi polmoni”.

 

Il magnate dell’editoria inglese, il laburista Robert Maxwell, esordì chiedendo al presidente: “Come fa a essere così popolare?”

Elena Ceausescu, che aveva fatto solo le scuole medie inferiori, fu onorata da ben quindici lauree honoris causa. In Italia, nel 1980, uscì per la SugarCo un libro in cui si leggeva: “Prima di passare al libro credo che sia importante accennare alla personalità e all’attività del suo illustre autore, l’accademico dottore ingegnere Elena Ceausescu. Scienziata di fama internazionale, copre attualmente anche le cariche di presidente del Consiglio nazionale per la scienza e la tecnologia e direttore generale dell’ Istituto centrale per la chimica”. La firma era di Antonio Carrelli, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei. Il celebre genetista Giuseppe Montalenti nel 1983 scrisse invece la prefazione a un secondo libro della Ceausescu, “Nuove ricerche nel campo dei composti macromolecolari”. La presidente della Camera Nilde Iotti, intanto, scriveva la prefazione del libro “Romania, socialismo, collaborazione e pace”.

 

Nel 1977, nella sede della Fao, a Roma, ebbe luogo la presentazione del volume “Nicolae Ceausescu – Cambiamo il mondo: per un nuovo ordine internazionale”. Era lo stesso Ceausescu che aveva mandato l’agricoltura romena sul lastrico, obbligando la coltivazione intensiva che portò al soffocamento dei terreni. E alla carestia. Decine di migliaia di contadini furono costretti ad abbandonare le campagne e a trasferirsi nelle città.

 

Dalla Fao che elogiava l’agricoltura di Ceausescu alla Rai, che trasmise un peana sulla moglie del dittatore romeno

Sulla Rai, Giancarlo Vigorelli mise su una intervista elegiaca del regime di Ceausescu il 23 luglio 1974. “Spesso segue il marito nei viaggi all’estero e sono brevi le vacanze comuni sul Mar Nero nella bella e sobria residenza di Neptun”, racconta Vigorelli mentre le immagini di Elena Ceausescu si susseguono di sottofondo.

 

Gli Editori Riuniti e le Edizioni del Calendario, legale al Partito Comunista Italiani, diedero intanto avvio alla stampa della serie degli “Scritti scelti” di Ceausescu che sarebbe continuata per tutti gli anni Ottanta. Uno di questi scritti era curato da Carlo Salinari, preside della Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma. Se si calcola il numero di opere encomiastiche dedicate a Ceausescu che furono pubblicate durante gli anni Settanta ed Ottanta, l’Italia era al primo posto al mondo con 17 volumi, contro i sei della Gran Bretagna, i cinque della Francia e i tre della Repubblica Federale Tedesca.

 

Erano anche gli anni in cui, in Europa, faceva una fatica tremenda a imporsi la voce della dissidenza romena. A fronte di così tante agiografie in più lingue, il prestigio di Ceausescu apparve soltanto modestamente intaccato dall’iniziativa lanciata nel 1977 da alcuni intellettuali residenti in Francia, tra i quali Eugen Ionesco. Sui giornali italiani apparvero pochissimi articoli di denuncia e di verità, come quello di Lia Wainstein sulla Stampa: “L’Arcipelago Gulag della Romania”. Ionesco continuava a domandarsi come potessero i paesi civili tollerare “questo mostro nel cuore dell’Europa”. Fu possibile, oltre al grano che veniva esportato e tolto dalla tavola dei romeni, grazie al coro di europei che cantarono le gesta dell’“umanista” sempre sorridente, sempre bonario, sempre circondato da bambini osannanti, che fermò gli orologi del suo paese e riuscì a far scandire il tempo dagli applausi.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.