Le bandiere dei diversi paesi presenti al 35° vertice dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Foto LaPresse)

L'Asia balla da sola

Redazione

Trump snobba il summit di Bangkok. Asean, Cina e India sempre più vicini

"La geografia come destino”. E’ un’idea deterministica che sembrava superata dalla globalizzazione, dalla connettografia. In un “mondo piatto”, i destini degli uomini non potevano dipendere da uno spazio delimitato da precise coordinate. Poi, inesorabile, è arrivata “la vendetta della geografia”, evocata da Robert Kaplan. Se ne è avuta la plastica rappresentazione a Bangkok, dove si è svolto il 35° vertice dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean). L’Indocina è all’incrocio di due civiltà (che oggi definiremmo meglio come “potenze”): quella cinese e quella indiana. Oggi, però, l’Asean non vuole più essere territorio d’incontro o scontro. L’obiettivo non è l’unità, ma l’obiettivo comune. L’Asean cerca e trova nuovi alleati in Asia, come il Giappone o la Corea del sud, che possano bilanciare il peso di Cina e Russia. Vuole diventare protagonista di quello che è stato definito “il nuovo secolo asiatico”.

 

Il presidente americano Donald Trump ha dato l’ultima decisiva spinta verso questo spostamento tettonico della geopolitica contemporanea: dopo il ritiro dal Tpp, il trattato di libero scambio con i paesi dell’area Pacifica Asiatica, Trump si è sempre più allontanato dall’Asia, quasi a voler rimarcare la differenza dalla politica estera di Obama (e della Clinton) che ne aveva fatto il proprio “pivot”, il fulcro. Al “Pivot to Asia” ha sostituito la Indo-Pacific Strategy, correttamente interpretata solo in funzione anticinese, marginale e superficiale per le nazioni dell’Asean. Il Summit di Bangkok ha trasformato quest’emarginazione in una frattura forse insanabile. Trump non vi ha partecipato, ma soprattutto ha mandato una delegazione, composta dal consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien e dal segretario per il Commercio Wilbur Ross, considerata di basso profilo. Per molti osservatori locali, estremamente attenti alla forma, è stata un’offesa. E invece sia il primo ministro indiano Narendra Modi sia quello cinese Li Keqiang, nei loro interventi, hanno fatto riferimento alla strategia del “win win”, in cui non ci sono sconfitti e da cui tutti traggono vantaggio, insita nella filosofia asiatica. L’America è sempre più lontana.

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