foto tratta dal profilo Twitter @realDonaldTrump

Il crollo nervoso d'America

Paola Peduzzi

Lo scontro istituzionale tra Casa Bianca e Congresso finisce con un trollaggio su Twitter. Le testimonianze sull’impeachment, l’indignazione dei repubblicani e gli effetti del ritiro di Trump dalla Siria

Milano. Donald Trump ha attaccato Nancy Pelosi con un tweet – “il crollo da squilibrata di Nancy la nervosa” – e una foto che è diventata, nel giro di pochissimo, la foto del profilo Twitter di Nancy Pelosi. A troll, troll e mezzo, insomma, e una nuova realtà: il presidente degli Stati Uniti e la Speaker della Camera degli Stati Uniti non riescono più a stare nella stessa stanza. Non è soltanto una questione personale – che comunque c’è – ma sistemica: il dialogo tra Partito democratico e Casa Bianca non è più possibile. Non era mai stato né semplice né fruttuoso, ma con l’impeachment non esiste proprio più. Era inevitabile? Può essere, ma le conseguenze di questa frattura non sono ancora del tutto misurabili, pure se sappiamo che saranno costose.

  

 

La foto, intanto: la Pelosi in piedi a un tavolo in cui ci sono soltanto uomini (o almeno sono inquadrati soltanto uomini) punta il dito contro Trump, che è di fronte a lei. Discutono di Siria e del tradimento dell’alleato curdo, dopo che la Camera aveva votato a stragrande maggioranza – quindi con molti repubblicani – un testo di condanna della decisione della Casa Bianca di ritirare le truppe dalla Siria dopo aver dato il via libera alla Turchia di entrare in territorio siriano. Da giorni Trump difende e raddrizza in modo goffo quella decisione, e durante l’incontro con i leader dell’opposizione al Congresso ha: distribuito la lettera che ha scritto al presidente turco Recep Tayyp Erdogan (che è talmente incredibile che molti hanno detto: questo è il motivo per cui esiste il 25esimo emendamento, che permette di rimuovere un presidente incapace di intendere e di volere); detto che i curdi sono comunisti e per questo “piacciono ai democratici”; attaccato la Pelosi dicendole tra le altre cose che è una politica di terza categoria. La Speaker si è alzata ed è andata via dicendo “bye bye” (Trump le ha risposto: “Ci vediamo alle urne”), uscendo ha detto ai giornalisti che Trump aveva avuto un crollo nervoso – “meltdown” – che è la stessa parola poi utilizzata dal presidente nel tweet, con la sfumatura nervosismo-isteria che per una donna ovviamente va sempre bene (“Nervous Nancy” è il nomignolo che Trump ha scelto per la Pelosi, ma non attecchisce come altri), e finendo la tweetstorm dicendo che la Speaker odia l’America.

 

La Pelosi è già da tempo considerata la più abile nel trattare con Trump – si possono acquistare le magliette con le sue frasi e i suoi gesti iconici, primo fra tutti l’applauso sarcastico che fece al presidente durante il discorso sullo Stato dell’Unione quando parlò della necessità di collaborazione tra le varie forze politiche – anche perché è molto rapida e puntuale con le risposte. “Io odio lo Stato islamico più di te”, ha detto Trump. “Questo non puoi saperlo”, ha risposto la Pelosi. “Tu sei soltanto una politica”, ha detto Trump. “Vorrei tanto lo fossi anche tu”, ha risposto lei, che in un altro scambio ha detto al presidente: “Tutte le strade con te portano a Putin”. In questa precisa battaglia, quella sul ritiro americano dalla Siria, la Speaker della Camera ha anche il sostegno di molti repubblicani inorriditi dalla decisione di Trump, e questa alleanza – che si è vista anche nel voto alla Camera, ma si può vedere in ogni talk show – fa imbestialire il presidente, per una serie di ragioni che conducono tutte all’unica questione che gli interessa: l’impeachment.

 

La Camera sta raccogliendo le prove per l’inchiesta, la Pelosi ha deciso di non organizzare un voto di apertura dell’impeachment perché ci sono già molte commissioni che stanno interrogando i testimoni e questo voto non è richiesto “quindi non lo avremo ora”, ha detto la Speaker. I repubblicani si sono ribellati, dicono che viola una prassi e che i democratici stanno cercando di scatenare uno “scontro costituzionale” fatto di cavilli e di procedure al limite del consentito. A causa di questa pirateria costituzionale, dicono i repubblicani, la Casa Bianca ha deciso di non collaborare su nulla, di opporsi a ogni richiesta: se si deve finire davanti ai giudici, davanti alla Corte Suprema, che sia. Tanto il tempo gioca a favore di Trump, visto che più si avvicinano le elezioni – si vota nel novembre del prossimo anno – più i fatti dell’inchiesta sull’Ucraina si perdono nella cacofonia della campagna elettorale. Molti consiglieri democratici dicono: attenzione, se si sbagliano i tempi e le procedure, questo impeachment rischia di essere non soltanto perdente (sulla carta lo è già: al Senato i democratici non hanno i voti necessari) ma anche controproducente.

 

I trumpiani stanno intanto cercando una strategia oltre alla non-collaborazione, che al momento pare essere: l’unico errore di Trump è stato quello di delegare la questione ucraina a Rudy Giuliani, suo avvocato personale. E’ quello che ha sostanzialmente detto ieri l’ambasciatore americano nell’Unione europea, Gordon Sondland, durante la sua testimonianza alla Camera, spiegando che il corpo diplomatico non era contento di quella delega, che ha provato a contrastarla ma poi l’ha di fatto accettata. Attorno a Giuliani si stanno concentrando tutte le prove dei tentativi americani di ottenere da paesi stranieri – nella fattispecie l’Ucraina – materiale compromettente riguardo a rivali politici: da oligarchi ex sovietici a faccendieri di ogni sorta, nell’entourage di Giuliani non manca nessuno. Ma se la delega all’avvocato personale è evidentemente un errore, non è un errore da impeachment, ed è questa la strada difensiva per ora percorsa da Trump.

 

Le prove da raccogliere sono ancora tante, così come le testimonianze da ascoltare, ma il punto politico resta lo stesso: il sostegno dei repubblicani. Che per ora sembrano molto disposti a indignarsi più per i curdi abbandonati che per la telefonata “do me a favor” di Trump al presidente ucraino.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi