Un bambino festeggia il suo primo compleanno nel campo rifugiati di Karetepè (foto LaPresse)

Il bluff di Erdogan

Micol Flammini

L’ideatore del patto europeo sui rifugiati con Ankara ci aiuta a decifrare le minacce del presidente turco

Roma. Quei sei miliardi di euro che l’Unione europea ha deciso di stanziare per l’accordo sui migranti con la Turchia ancora non sono stati spesi tutti, “per spendere così tanto denaro ci vuole tempo”, dice al Foglio Gerald Knaus, che oltre a essere il direttore del think tank European Stability Initiative ha ideato quel patto. Il denaro va a progetti per l’istruzione, per la sanità, per il cibo e viene speso all’interno dei campi che attualmente accolgono 3,6 milioni di rifugiati siriani e a gestirlo non è il governo turco, ma sono le agenzie, come quelle dell’Onu, che lo ricevono per sviluppare i progetti umanitari. Quando Recep Tayyip Erdogan la scorsa settimana ha intrapreso la sua operazione contro i curdi nel nord della Siria, l’Ue, che non ha una politica estera comune e non riesce a essere determinante quanto dovrebbe sulla scena internazionale, non ha dato una risposta chiara e univoca, non ha trovato un accordo sull’embargo delle armi ad Ankara e su altre misure per fermare l’offensiva turca. Si è molto discusso del fatto che la debolezza europea sia stata dettata anche dal patto sui migranti e dalla paura delle minacce del presidente turco che dice di voler mandare i rifugiati in Europa. Ma quanto sono realistiche queste minacce?

 

“I detrattori dell’accordo dicono che l’Ue non avrebbe mai dovuto trattare con la Turchia, ma ignorano cosa avviene realmente sul campo, ignorano che senza quel patto aumenterebbe la pressione sulle isole greche, dove i campi sono in condizioni terribili e il danno sarebbe soprattutto per i rifugiati. Accusare il patto di aver reso Bruxelles dipendente è da irresponsabili, il nostro rapporto con Ankara non nasce nel 2016, ma è innanzitutto geografico, esisterebbe anche senza l’accordo”.

 

Il presidente turco Erdogan ha minacciato l’Ue di aprire le porte ai rifugiati siriani e di lasciarli arrivare in territorio europeo se Bruxelles non smetterà di criticare il suo operato in Siria. Di minacce così, Erdogan ne fa dal 2016 e dipinge l’accordo come una costrizione e una perdita per Ankara. “Spesso ci si dimentica che a proporre l’accordo sono stati i turchi e mantenerlo sta nei loro interessi”, dice Knaus. In cambio hanno avuto la liberalizzazione dei visti e la possibilità di riaprire i negoziati per l’adesione all’Ue, “inoltre Bruxelles ha una sua influenza sulla Turchia, è il suo maggiore partner commerciale”, un legame economico molto forte che non è negli interessi di Erdogan interrompere. Il patto non è una leva che il presidente turco può usare contro gli europei anche perché i mezzi a sua disposizione per aprire le porte sono pochi: “Erdogan potrebbe annunciare che non ha più intenzione di prendere rifugiati, benissimo, al momento la Grecia riesce a trasferirne soltanto dodici al mese perché è molto lenta nello smaltire le domande. Se dice di voler mandare via i siriani, deve anche tenere in considerazione che ora loro preferiscono rimanere in Turchia. Oppure potrebbe interrompere i controlli nel mar Egeo, ma non lo sta facendo né lo ha mai fatto. Non esiste un bottone che gli permetterebbe di aprire le porte e inoltre in questo momento non è molto chiaro quale sia il vero interesse della Turchia”.

 

Che l’Europa abbia bisogno di continuare a cooperare con Ankara per la gestione dei migranti è nell’interesse di tutti, “nessun governo al momento vuole metterlo in dubbio, è nell’interesse anche dei rifugiati” che in Turchia hanno avuto accesso a programmi educativi e sanitari che ora in Grecia non esistono. “L’Europa deve anche impegnarsi ad accogliere di più, la popolazione siriana nei campi sta aumentando, ogni anno nascono migliaia di bambini e tra cinque anni i siriani presenti nei campi supereranno quelli in Germania e dobbiamo occuparci di loro, vanno tutelati”. L’operazione di Erdogan contro i curdi è iniziata con l’annuncio della creazione di una zona cuscinetto lungo il confine turco in Siria. Nessuno nell’Unione europea approva questo piano, ma la mancanza di un intervento europeo non si deve al patto, Bruxelles ha già rifiutato più volte di finanziare la “safe zone”. “Nessuno la finanzierà, Erdogan lo sa, e la Turchia non è preparata a combattere, spera nei suoi alleati arabi ma se Damasco e Mosca decidono di voler riprendere quei territori per Ankara sarà difficile mantenere il controllo”. E’ arduo indovinare come andrà a finire, dice Gerald Knaus, la “safe zone” in cui stipare i rifugiati al momento non sembra realizzabile, fortunatamente. Non sembrano realizzabili nemmeno le minacce di Recep Tayyip Erdogan a Bruxelles di venir meno a un patto che serve a tutti, europei, siriani e turchi.

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