Una manifestazione a favore di Putin durante il suo viaggio di stato a Belgrado (Foto LaPresse)

La nuova dottrina Putin spiegata da uno dei suoi consiglieri

Micol Flammini

Vladislav Surkov, ideologo del Cremlino, pubblica il manifesto della Russia che è e che sarà. La democrazia non esiste, perché non funziona: è solo una finzione dell’occidente

Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo di Vladislav Surkov apparso sulla Nezavisimaya Gazeta l’11 febbraio scorso. Il consigliere di Valdimir Putin difende l’ideologia russa e sostiene che il putinismo rappresenti il futuro al quale dovranno abituarsi anche le democrazie occidentali.

 

"Sembra che abbiamo soltanto una scelta”. Questa frase colpisce per profondità e audacia. Detta un decennio e mezzo fa, oggi è stata dimenticata, ma secondo le leggi della psicologia, ciò che abbiamo dimenticato ci colpisce molto più di ciò che ricordiamo. E queste parole, andando ben oltre il contesto in cui venivano pronunciate, divennero alla fine il primo assioma dello nuovo stato russo, sul quale vengono costruite tutte le teorie e le pratiche della politica attuale.

 

L’illusione della scelta è la più importante delle illusioni, il principale trucco del modo di vivere occidentale in generale e della democrazia occidentale in particolare (…). Il rifiuto di questa illusione a favore del realismo della predestinazione ha portato la nostra società prima a riflettere sulla sua variante particolare, sovrana dello sviluppo democratico, e poi alla perdita completa di interesse nelle discussioni su ciò che la democrazia deve essere, se deve essere.

 

Il putinismo è il futuro, dal momento che il vero Putin non è affatto un putinista, proprio come Marx non era un marxista 

La costruzione dello stato non è avvenuta attraverso l’importazione di chimere, ma attraverso la logica dei processi storici, seguendo quindi “l’arte del possibile”. Il decadimento impossibile, innaturale e astorico della Russia è stato, anche se tardivamente, fermato con determinazione. Dopo il collasso dell’Urss, la Russia ha smesso di crollare, ha iniziato a riprendersi ed è tornata al suo stato naturale e all’unico possibile, quello di una grande, crescente e radicata comunità di nazioni. Il ruolo da protagonista assegnato al nostro paese nella storia del mondo non ci consente di lasciare il palcoscenico o di rimanere in silenzio tra la folla, non è un ruolo di pace e svela il carattere inquieto del nostro stato nazionale (…).

 

Gli stress test che la Russia ha superato dimostrano che solo un modello di struttura politica di questo genere costituirà un mezzo efficace per la sopravvivenza e l’elevazione della nazione russa per i prossimi non solo anni, ma anche decenni, e probabilmente per tutto il prossimo secolo.

 

 

Un murales col volto di Putin a Belgrado con la scritta: "Il Kossovo è la Serbia" (Foto LaPresse) 


 

Quindi, sono quattro i principali modelli di stato che si riscontrano nella storia russa e possono essere convenzionalmente chiamati con i nomi dei loro creatori: lo stato di Ivan III (Granducato / Regno di Mosca e tutta la Russia, XV-XVII secolo); lo stato di Pietro il Grande (Impero russo, XVIII -XIX secolo); lo stato di Lenin (Unione sovietica, XX secolo); stato di Putin (Federazione russa, XXI secolo). (…) La grande macchina politica di Putin si sta soltanto scaldando e si prepara per un lavoro lungo, difficile e interessante. Il momento in cui uscirà in tutta la sua potenza deve ancora arrivare, tanto che tra molti anni la Russia sarà ancora lo stato di Putin, così come la Francia moderna continua a chiamarsi la Quinta Repubblica di de Gaulle, la Turchia si basa ancora sull’ideologia di Atatürk, e gli Stati Uniti ancora si rivolgono alle immagini e ai valori dei “padri fondatori” semileggendari.

 

L’interesse degli stranieri per l’algoritmo politico russo è chiaro: non hanno profeti e tutto ciò che sta accadendo, noi lo avevamo previsto

È necessario essere consapevoli, comprendere e descrivere il sistema di governo di Putin e l’intero complesso di idee e dimensioni del putinismo come ideologia del futuro. E’ il futuro dal momento che Putin non è affatto un putinista, proprio come Marx non era un marxista (…) e non è scontato che accetterebbe di esserlo se sapesse di cosa si tratta. Ma questo deve essere fatto per tutti quelli che non sono Putin, e vorrebbero essere come lui. Per dare la possibilità di trasmettere nel futuro i suoi metodi e i suoi sistemi.

 

I politici stranieri attribuiscono alla Russia l’interferenza in elezioni e referendum in tutto il mondo. In realtà, la faccenda è ancora più seria: la Russia interferisce nelle loro menti e non sanno cosa fare con la propria coscienza alterata. Da quando, dopo il fallimento degli anni Novanta, il nostro paese ha abbandonato i prestiti ideologici, ha iniziato a produrre significati ed è passato al contrattacco informativo verso l’occidente, gli esperti europei e americani hanno iniziato a sbagliare le loro previsioni sempre più spesso. Sono sorpresi e infuriati dalle preferenze paranormali dell’elettorato. Confusi, hanno annunciato l’invasione del populismo. Chiamatelo come vi pare.

 

Quando erano ancora pazzi della globalizzazione e cicalavano di un mondo piatto senza frontiere, Mosca ricordava chiaramente che la sovranità e gli interessi nazionali contano. Poi, molte persone ci hanno accusato di avere un attaccamento “ingenuo” a queste vecchie cose, apparentemente passate fuori moda da tempo. Ci hanno insegnato che non c’era nulla da preservare dei valori del Diciannovesimo secolo, ma dovevamo entrare coraggiosamente nel Ventunesimo secolo, dove non ci sarebbero state presumibilmente nazioni e stati nazione sovrani. Il Ventunesimo secolo, tuttavia, sta andando come avevamo previsto. La Brexit inglese, l’americano “#greatagain”, la lotta anti immigrazione dell’Europa sono soltanto i primi elementi di un vasto elenco di onnipresenti manifestazioni di deglobalizzazione, risovraninizzazione e nazionalismo.

 

La grande macchina politica di Putin si sta soltanto scaldando e si prepara per un lavoro lungo, difficile e interessante 

Nel frattempo, l’interesse degli stranieri per l’algoritmo politico russo è chiaro: non hanno profeti nelle loro patrie e tutto ciò che sta accadendo oggi è stato da tempo previsto dalla Russia. Quando ovunque Internet veniva elogiato come uno spazio inviolabile di libertà illimitata, dove tutti potevano fare tutto e dove tutti sono apparentemente uguali, fu dalla Russia che risuonò la domanda che ha portato alla delusione di tutta l’umanità ingannata: “Chi siamo nel world wide web, ragni o mosche?”.

 

Oggi tutti si affrettano a disfare la rete, comprese le burocrazie più liberali, e ad accusare Facebook di indulgenza nei confronti degli interventi stranieri (…). Non molto tempo fa, il poco noto termine derin devlet del dizionario politico turco è stato replicato dai media americani, tradotto in inglese come deep state, e da lì è stato poi messo in giro dai nostri media. In russo il termine indica l’organizzazione assolutamente non democratica del vero potere delle strutture di potere nascoste dietro le istituzioni democratiche esterne ed esposte. Un meccanismo, in pratica, che agisce attraverso la violenza, la corruzione e la manipolazione e nascosto sotto la superficie della società civile, manipolando verbalmente (ipocritamente o ingenuamente) e corrompendo.

 

Dalle profondità e dalle tenebre di questo potere non pubblico e non pubblicizzato, emergono i brillanti miraggi della democrazia fatti per le masse: l’illusione della scelta, la sensazione di libertà, il sentimento di superiorità e così via. La sfiducia e l’invidia, utilizzate dalla democrazia come fonti prioritarie di energia sociale, portano inevitabilmente a una assolutizzazione delle critiche e a un aumento del livello di ansia. Non c’è davvero nulla di male nell’immagine proposta della democrazia occidentale (…) ma gli occidentali iniziano a girare la testa alla ricerca di altri modelli e modi di esistenza. E vedono la Russia.

 

Il nostro sistema sembra, ovviamente non più elegante, ma più onesto. Anche se non per tutti la parola “più onesto” è sinonimo di “migliore”. Il nostro stato non è diviso in “profondo” ed esterno, è costruito come unico, tutte le sue parti e manifestazioni sono fuori. I disegni più brutali della sua struttura di potere corrono dritti lungo la facciata, non coperti da eccessi architettonici. La burocrazia, anche quando usata con astuzia, non lo fa con molta attenzione, come se supponesse che “ancora tutti capiscano tutto”. L’alta tensione interna associata alla conservazione di enormi spazi eterogenei e la costante permanenza nella lotta geopolitica rendono le funzioni di polizia militare dello stato importanti e decisive. Non sono tradizionalmente nascosti, ma al contrario sono palesi, dal momento che la Russia non è mai stata governata da mercanti (quasi mai, a eccezione di pochi mesi nel 1917 e negli anni Novanta), che considerano la guerra meno del commercio, e nemmeno dai mercanti liberali che fondano la loro dottrina sulla negoziazione. Non c’è nessuno da noi che tinga la verità con le illusioni, spingendosi e nascondendosi in secondo piano. Non c’è uno “stato profondo” in Russia, è tutto in bella vista: c’è semmai un “popolo profondo”.

 

L’élite brilla su una superficie lucida, secolo dopo secolo, è attiva (dobbiamo dargliene merito) coinvolgendo le persone in alcune delle sue attività: riunioni di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici. Le persone partecipano agli eventi, ma sono in qualche modo distaccate, non emergono, vivono nelle loro stesse profondità con una vita completamente diversa. Due vite nazionali, superficiali e profonde, a volte vivono in direzioni opposte, a volte coincidenti, ma non si fondono mai in una sola. Un “popolo profondo” è sempre cosciente, inaccessibile ai sondaggi sociologici, alle campagne, alle minacce e ad altri metodi di studio e influenza diretti. La comprensione di cosa sia, cosa pensa e cosa vuole spesso arriva in ritardo, e non a chi può fare qualcosa.

 

Di rado gli scienziati sociali riusciranno a determinare esattamente se un popolo profondo è uguale alla popolazione o ne fa parte, e se sì, quale parte? In tempi diversi credevano che esso fosse formato dai contadini, poi dai proletari, dai non partigiani, dagli hipster e dagli impiegati dello stato. A volte si è deciso che era fittizio e non esisteva nella realtà, molti hanno introdotto alcune riforme galoppanti senza guardarlo, ma gli hanno subito spezzato la fronte, giungendo alla conclusione che “c’è qualcosa dopo tutto”. Si è ritirato ripetutamente sotto la pressione di invasori interni o esterni, ma è sempre tornato.

 

L’illusione della scelta è la più importante delle illusioni, il trucco del modo di vivere e della democrazia occidentali

Con la sua gigantesca super massa, il popolo profondo ha creato una forza irresistibile di gravità culturale, che collega la nazione e attrae (pressa) la terra (nella sua terra natia) dell’élite. Qualunque sia il significato della nazione, precede lo stato, predetermina la sua forma, limita le fantasie dei teorici e costringe a determinate azioni. È un potente attrattore, cui tutte le traiettorie politiche inevitabilmente conducono. Puoi iniziare in Russia da qualsiasi cosa: dal conservatorismo, dal socialismo, dal liberalismo, ma finirai sempre nello stesso modo. La capacità di ascoltare e capire il popolo, di vedere attraverso di esso, in profondità, e di agire di conseguenza è il vantaggio unico e principale dello stato di Putin. E’ adeguato al popolo, verso il popolo, il che significa che non è soggetto a sovraccarichi distruttivi dalle correnti in arrivo della storia. Pertanto, è efficace e durevole.

 

Nel nuovo sistema, tutte le istituzioni sono subordinate al compito principale: fidarsi della comunicazione e dell’interazione del capo con i cittadini. I vari rami del potere convergono verso la personalità del leader, non essendo considerati un valore in sé e per sé, ma solo nella misura in cui forniscono una connessione con lui. Oltre a questi, i modi informali di comunicazione funzionano scavalcando le strutture formali e i gruppi di élite. E quando la stupidità, l’arretratezza o la corruzione interferiscono con le linee di comunicazione con il popolo, vengono prese misure energiche per ripristinare l’ascolto (…)

 

In sostanza, la società si fida solo della prima persona. Nell’orgoglio anche, non c’è mai un popolo conquistato qui. Sarebbe una semplificazione eccessiva ridurre la questione alla famigerata “fede nel buon re”. Il “popolo profondo” non è affatto ingenuo, semmai ha potuto pensare del giusto sovrano quel che Einstein pensava di Dio: “Sofisticato, ma non malizioso”. Il modello moderno dello stato russo inizia con la fiducia e mantiene la fiducia. Questa è la sua fondamentale differenza dal modello occidentale, che si fonda su sfiducia e critica. E questa è la sua forza.

 

Il nostro nuovo stato nel nuovo secolo avrà una storia lunga e gloriosa. Non si romperà. Agirà a modo suo, riceverà e manterrà i premi nel principale campionato della lotta geopolitica. Prima o poi, tutti quelli che chiedono che la Russia “cambi comportamento” dovranno accettarlo. Dopotutto, sembra soltanto che non abbiano scelta.

 

Quanto segue è il commento di Micol Flammini all'intervento di Surkov. 

 

Roma. Nel 2006 Vladislav Surkov aveva fatto parlare un po’ di sé. Aveva teorizzato il concetto di una “democrazia sovrana”, una forma di governo diversa, distante da quelle che lui definisce le “illusioni occidentali” di poter vivere in uno stato democratico. Per lui, autoproclamatosi ideologo del Cremlino, tendenza molto diffusa in Russia, la democrazia è finzione e in questo starebbe la superiorità della Russia che non ha mai creduto nella finzione e Vladimir Putin è un presidente che ha reso felice la nazione senza la pretesa di incastrare il sistema politico russo in una forma democratica. Nel 2006 Viktor Orbán non era ancora il politico che conosciamo ora, era più liberale e credeva nell’Europa, non era ancora arrivato a teorizzare la sua “democrazia illiberale”, concetto astratto e incompatibile che ha attratto molti nazionalisti, sovranisti e militanti delle destre estreme.

 

La “democrazia illiberale” è sorella della “democrazia sovrana”, d’altronde l’Ungheria guarda più a Mosca che a Bruxelles, lo ha confermato Orbán lo scorso anno in un discorso per commemorare l’anniversario della rivoluzione ungherese del 1956 quando con una similitudine forzata, stridente e astorica ha detto che Budapest, che ieri combatteva contro i carri armati sovietici, oggi combatte contro l’Ue. Nel lungo articolo che Surkov ha pubblicato sul quotidiano Nezavisimaya Gazeta (vedi sopra) volto a giustificare e a elevare il putinismo, c’è un fatto: la constatazione che dall’Ungheria alla Repubblica ceca, dall’Italia agli ambienti frontisti della Francia, quello che Surkov chiama “l’algoritmo politico russo” è diventato davvero attraente per l’occidente rimasto “senza profeti”. 

 

La Russia è a caccia di dottrine, ne ha bisogno per alimentare il suo sistema politico e per esportare la propria immagine fuori dai confini nazionali. Di dottrine ce ne sono state sempre molte, da quella Breznev a quella ironicamente denominata Sinatra. L’ultima esposta è stata la dottrina Gerasimov, che aveva chiarito nel 2013 il concetto di guerra ibrida svelando come la Russia stesse cercando di recuperare la sua potenza militare. Le parole di Surkov hanno lo stesso suono e la stessa volontà di trasformarsi in dottrina, ma c’è una nota che stona e che rende il suo articolo diverso dalle parole di Gerasimov nel profondo.

 

Il suo è il tentativo di allontanare l’immagine di una nazione debole. È una Russia stanca, con un presidente imbolsito distante dai russi, è senza piani e senza innovazioni. L’articolo di Surkov è il tentativo di rialzare una potenza usurata che ha prodotto un fenomeno come il putinismo, lo ha reso popolare nel mondo, ma sta assistendo alla sua fine. Le parole di Surkov distraggono, sono una proclama elettorale per dire ai russi di non guardare all’oggi, alle sanzioni, alla riforma delle pensioni, alla povertà, ma di guardare al futuro e di credere con fermezza che la Russia avrà ragione.

 
Surkov è uno dei consiglieri di Vladimir Putin ed è di origine cecena. Si presenta come uno dei teorici del putinismo e come molti, Dugin prima di lui, ha cercato di imporsi come un pensatore: il suo ruolo principale è quello di consigliere del presidente russo e gestisce gli affari di Mosca in Ucraina, in quella nazione da cui dipende molto del consenso nei confronti del Cremlino. Anche su quel fronte il putinismo, l’idea della guerra permanente, non sta funzionando, gli ucraini non ne possono più della presenza costante e minacciosa di Mosca e i russi sono sempre più stanchi dei combattimenti, delle perdite e delle bugie.

 

Dall’articolo di Surkov, sentito e propagandistico panegirico nei confronti di Putin, emerge tuttavia un aspetto che descrive alla perfezione il momento politico che la Russia sta vivendo: l’irrealtà. Il putinismo è un gioco di specchi, è una presenza impalpabile, un mito fumoso e Surkov si sforza di farlo diventare reale. La finzione diventa realtà, si fa distrazione, e punta a distogliere l’attenzione dalle difficili questioni politiche che sono tante: le riforme impopolari, le guerre, la spesa per le infrastrutture.

    
È quindi una dottrina dell’irrealtà, che vuole far risorgere Mosca e la sua immagine di potenza minacciosa: “I politici stranieri attribuiscono alla Russia l’interferenza nelle elezioni e nei referendum in tutto il mondo. Ma la faccenda è ancora più seria: la Russia interferisce nelle loro menti e non sanno cosa fare con la propria coscienza alterata”, scrive Surkov. Il putinismo è un mito ormai sgonfio, ma c’è una previsione, tra quelle fatte dal consigliere del presidente russo, che non è sbagliata: è un’ideologia che caratterizzerà un’epoca. Ma non è la dottrina del futuro, è piuttosto lo sfogo della politica del presente, dei sovranismi insoddisfatti.

 

Il canto di Vladislav Surkov in patria è stato accolto con freddezza, Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino ha preso le distanze, ha ringraziato l’autore e ha detto che Putin lo leggerà quando avrà tempo, chissà se lo avrà fatto. Intanto però sono scoppiate le polemiche tra gli ideologi di corte, pronti ad accapigliarsi sulla paternità di un’ideologia che piace più ai consiglieri di Putin che a Putin. Oleg Matveychev, uno degli spin doctor del presidente russo ha accusato Surkov di plagio, di aver rubato le idee contenute in un suo libro che ancora deve uscire, ma che nemmeno a dirlo, si chiamerà “Putinizm”.

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