Donald Trump (foto LaPresse)

E se il trumpismo durasse trent'anni?

Paola Peduzzi

Per il discorso sullo Stato dell’Unione il Congresso s’addobba di bianco e sfoggia ospiti-simbolo, mentre Trump insiste: otterrò la barriera a sud. Sembra lo scontro finale. La provocazione di un esperto inglese

La proposta è stata fatta qualche giorno fa: presentiamoci tutte in bianco, noi donne del Congresso americano, il bianco delle suffragette, il bianco da sbattere in faccia al macho Donald Trump, mentre pronuncia il suo discorso sullo Stato dell’Unione, l’appuntamento solenne e programmatico slittato di un paio di settimane per via dello shutdown. Bianche le donne del Congresso, quando l’anno scorso erano tutte in nero, per solidarietà al MeToo, ma oggi non celebrano lutti bensì riscosse, sono le protagoniste di un documentario che ha fatto il suo esordio al Sundance e che rappresenta bene il nero, il bianco, l’offensiva della sorellanza già nel titolo: “Knock down the House”.

 

Mentre si aspettavano anticipazioni e indicazioni sul tono del discorso – qualche indizio lo ha dato lo stesso presidente tuittando di nuovo sul muro a sud e insistendo: se necessario faccio un muro umano – è iniziata la solita gara degli ospiti, chi porta chi, e ogni scelta serve a dare forma alla propria identità. Alexandria Ocasio-Cortez, ventinove anni e già star, uno dei volti più riconoscibili dei dem (questo dice molto anche dei dem), ha invitato Ana Maria Archila, del Center for Popular Democracy (pagato da Soros!), che fermò in ascensore un senatore repubblicano durante le audizioni del giudice supremo Brett Kavanaugh e contribuì a rallentare il processo di conferma al Senato del magistrato accusato di molestie sessuali. Messaggio chiaro, insomma, come quello di Ilhan Omar, pure lei appena arrivata, che ha scelto come ospite una rifugiata liberiana che deve essere rimpatriata.

 

Anche i Trump hanno scelto i loro ospiti, i loro simboli, che vanno dai famigliari di due persone uccise da immigrati illegali al piccolo seienne Joshua Trump, che ha una vita impossibile perché viene bullizzato per il cognome che porta, passando per un sopravvissuto della strage in sinagoga a Pittsburgh e per una madre che ha smesso di drogarsi, dopo tanto tempo, un anno fa. Ognuno porta la propria visione assieme agli ospiti, il presidente e il Congresso, in mezzo c’è un’ostilità molto alta – la Camera passata ai democratici, i repubblicani in rivolta sulla politica estera, lo shutdown temporaneamente sospeso ma non scongiurato, l’inchiesta sul Russiagate – assieme alla consapevolezza che le parole del presidente sono volatili, lui è volubile, e chissà che cosa resterà di questo discorso programmatico targato 2019.

 

Questa consapevolezza però non è una strategia. Sul Financial Times Gideon Rachman ha lanciato una provocazione che ha tenuto banco per tutta la giornata d’attesa del discorso: Trump può durare anche trent’anni. Rachman spiega che le varie stagioni storiche moderne sono durate più o meno questo lasso di tempo e il nazional-populismo, con i suoi tanti uomini forti da mandati plurimi, potrebbe fare altrettanto. A una condizione: i risultati. Le esperienze precedenti sono durate perché, ideologia a parte, hanno garantito benessere. Il successo elettorale non basta per sostenere un trentennio sovranista, insomma, che come contraltare al muro umano non è un’emozione da poco.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi