Donald Trump (foto LaPresse)

“No collusion”. Così il rapporto Mueller è già diventato uno slogan per la campagna di Trump

Daniele Raineri

Il ministro della Giustizia, William Barr, ha diffuso in una lettera di quattro pagine le conclusioni dell'inchiesta sul Russiagate: non ci fu collusione fra la Russia e Trump. Per il presidente si tratta di un trionfo politico

New York. Domenica pomeriggio il ministro della Giustizia americano, William Barr, ha diffuso in una lettera di quattro pagine le conclusioni del rapporto Mueller, che riguarda le interferenze russe nelle elezioni presidenziali 2016. Come già avevano scritto le agenzie d’intelligence americane nell’ottobre 2016 e nel gennaio 2017, anche l’inchiesta del procuratore speciale conferma che il governo russo ordinò due operazioni segrete per manipolare le elezioni americane, ma dice che non ci fu collusione o cospirazione fra la Russia e il presidente americano Donald Trump. “NO COLLUSION!”, come ha subito scritto lui su Twitter (e non c’è dubbio che diverrà uno slogan). Trump aveva sempre sostenuto di non credere ai rapporti della sua intelligence e di credere invece alla versione del presidente russo Vladimir Putin che in un incontro faccia a faccia gli aveva assicurato che non c’erano state interferenze.

 


Leggi la lettera del ministro della Giustizia, William Barr


  

Il rapporto non si pronuncia sull’ostruzione di giustizia – quindi la possibilità che il presidente abbia tentato di ostacolare l’inchiesta, per esempio facendo pressione e poi licenziando il direttore dell’Fbi, James Comey – che era l’altra grande accusa contro Trump, e dice che ci potrebbe essere stata oppure no. “Sono stato completamente scagionato!”, ha scritto ancora Trump, anche se quella seconda questione non è stata risolta e ora molto probabilmente sarà esaminata dal Congresso. Ma non conta: la sintesi della prima ora è quella che vale, la percezione è travolgente, non c’è collusione, no collusion, i tecnicismi saranno dibattuti per mesi ma non scalfiranno una base elettorale che già era convinta dell’innocenza del suo candidato quando l’inchiesta di Mueller durata quasi due anni sembrava pericolosa, figuriamoci adesso che è finita in un nulla di fatto.

  

 

Per il presidente Trump si tratta di un trionfo politico che viene dopo soltanto al giorno dell’elezione e della vittoria contro Hillary Clinton e che potrebbe dare una spinta propulsiva alla sua campagna per il 2020. Già ieri il suo comitato elettorale ha spedito una mail in cui partiva dalla notizia del rapporto e della mancata collusione per chiedere agli elettori di fare donazioni. Il rapporto di Mueller adesso legittima e convalida agli occhi di molti americani la visione del mondo che il presidente predica tutti i giorni: c’è un grande complotto contro di lui, le accuse sono soltanto una caccia alle streghe, i media sono il nemico del popolo assieme ai traditori che si annidano negli apparati dello stato. Non importa che la stessa indagine abbia portato all’incriminazione di sei uomini dell’Amministrazione Tump e che dal materiale raccolto siano partiti molti altri filoni d’inchiesta che sono altrettanto pericolosi – ci stanno lavorando i procuratori di New York – la sintesi del rapporto diffusa ieri darà una mano al presidente in carica nella corsa per la rielezione. Di certo i russi che hanno organizzato le operazioni per aiutarlo nel 2016 non speravano in un effetto così prolungato.

 

 

I democratici chiedono che il rapporto Mueller sia desecretato, per molte ragioni. Vogliono chiarire la questione dell’ostruzione di giustizia, vogliono ottenere la mole di informazioni raccolte dal procuratore speciale su Trump – che potrebbero essere molto dannose per il presidente anche se non sono valse una richiesta finale d’impeachment – e vogliono usare il rapporto come base per le molte inchieste che hanno il potere di portare avanti ora che hanno la maggioranza alla Camera. Quelle inchieste, tuttavia, potranno soltanto essere collaterali e quindi su altri temi, perché sul tema della possibile collusione con i russi i democratici non possono sperare di fare meglio di Mueller, che ha fatto un lavoro in profondità con una quantità enorme di risorse e di uomini a disposizione.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)