Il ministro della Giustizia WIlliam Barr (Foto LaPresse)

I trumpiani esultano per la sintesi di Barr, ma le interferenze di Mosca restano

Micol Flammini

Che non ci sia stata collusione con il Cremlino è un’ottima notizia, ma il ministro della Giustizia conferma che i russi hanno interferito nella campagna elettorale 

Roma. “Ora diranno: ‘Non c’è stata nessuna collusione, ma la Russia ha interferito’”, ha commentato Margarita Simonyan. L’intenzione della direttrice dell’emittente Russia Today era di essere provocatoria, ma sicuramente non aveva letto la lettera che sintetizzava il rapporto di Robert Mueller che il ministro William Barr ha inviato alle commissioni Giustizia di Camera e Senato, in cui veniva sì esclusa la collusione di Trump, ma confermata l’interferenza. E come scrive anche David Frum sulle colonne dell’Atlantic, per l’America sapere che il proprio presidente non è colluso – “No collusion”, ha twittato trionfante Trump – è una buona notizia, ma questo non toglie che la Russia abbia avuto parte attiva durante la campagna elettorale. Il rapporto, tuttavia, ai russi è piaciuto molto, l’ambasciata di Mosca a Londra, attiva e ironica come sempre sui social, ha chiesto se per caso qualcuno avesse intenzione di scusarsi.

 

La Russia ride e festeggia l’atteso rapporto come una vittoria e con un mare di “noi ve lo avevamo detto” e anche un pizzico di vittimismo, caratteristica inedita di questo Putin IV. “Il rapporto Mueller ha provato qualcosa che la Russia sapeva fin dall’inizio, che non c’era alcuna collusione tra Trump e il Cremlino – ha detto il senatore Konstantin Kosachev –, in ogni caso esiste l’opportunità di recuperare le nostre relazioni, noi siamo pronti ovviamente, ma se Trump deciderà di farlo è ancora in dubbio”. I commenti arrivano dalla periferia del Cremlino, il presidente russo Vladimir Putin non ha parlato, lo hanno fatto i suoi funzionari, i suoi media, i suoi consiglieri con parole ricorrenti:“odio-parzialità-provocazione-cospirazione”. Mentre i trumpiani esultano, a questo punto la vittoria alle presidenziali del 2020 è un po’ più vicina, il rapporto di Mueller, o meglio la sintesi contenuta nella lettera di Barr, non risolve e non elimina il problema più grande del voto del 2016: che un paese straniero, la Russia, è stato in grado di direzionare, manipolare, influenzare l’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America.

 

Se non sono stati loro a portare Trump alla Casa Bianca, comunque è stato loro possibile agire, spiare, fomentare. Il rapporto, o meglio la sintesi di Barr del rapporto, conferma che Mosca è riuscita a interferire in due modi: attraverso un piano messo su dalla Internet research Agency, la fabbrica dei troll di San Pietroburgo, che si occupava di diffondere false informazioni e poi attraverso gli attacchi informatici di Wikileaks contro il comitato di Hillary Clinton, la candidata democratica, e diretti a rubare mail e documenti. Durante l’incontro a Helsinki, il bilaterale in cui Vladimir Putin e Donald Trump si sono incontrati, il presidente americano, con l’omologo russo al suo fianco che gli porgeva un pallone per il suo ultimogenito Barron, in conferenza stampa disse di fidarsi più di Putin che della sua intelligence. Per quanto Trump abbia sempre negato le responsabilità di Mosca, nell’ambito dell’inchiesta sul Russiagate, Mueller ha incriminato diverse persone, funzionari del governo e dell’intelligence militare russa e queste condanne, alcune per frode informatica altre per furto aggravato di identità non sono in discussione.

 

L’interferenza c’è stata e anche se non tutti gli analisti sono concordi nel dire che abbia avuto un qualche peso nel determinare la vittoria di Donald Trump, ci sono anche personalità di grande rilievo come Mark Galeotti, esperto di politica russa, docente della Jean Monnet e dello European University Institute e ricercatore dell’Istituto di relazioni internazionali di Praga, che rimangono scettici, bisogna comunque interrogarsi ancora su molti argomenti. La sintesi di Barr dice che non ci sono state collusioni, ma rimangono interrogativi, domande aperte, rimangono le incriminazioni contro Paul Manafort, ex consulente della campagna elettorale di Trump, Roger Stone, ex stratega. O anche l’incontro segreto tra Sessions e Sergei Kislyak, ex ambasciatore russo negli Stati Uniti, o l’incontro alla Trump Tower tra Donald Jr e emissari russi che possedevano le informazioni su Hillary Clinton.

 

  

C’è il piano di Michael Flynn e Jared Kushner di creare un backchannel segreto a Mosca attraverso l’ambasciata russa a Washington e ci sono figure come Maria Butina, la giovane spia arrestata lo scorso anno che stava per arrivare allo Studio Ovale. Le domande rimangono aperte, per gli americani il fatto che non ci siano state collusioni da parte del loro presidente è una buona notizia, sicuramente, che però non elimina un fatto: i russi hanno interferito. Ma tra cinguettii e dichiarazione, la sintesi migliore della giornata forse l’ha fornita Sergei Elkin, fumettista russo, che ieri a fine a serata ha pubblicato un suo schizzo su Twitter con un Trump trionfante che suona la balalaika e canta in russo: “Non sono più un agente del Cremlino”.

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