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A che punto è la rivoluzione liberale di Emmanuel Macron?

Mauro Zanon

Sui giornali parigini è tempo di bilanci. Dall'euforia riformista alle proteste dei gilet gialli, così è cambiata l'immagine del presidente francese 

Parigi. A che punto è la rivoluzione liberale di Emmanuel Macron? A diciannove mesi dalla sua ascesa dirompente sul gradino più alto della République è già tempo di bilanci sui giornali parigini, mentre la rabbia dei gilet gialli continua a scorrere lungo le strade della Francia profonda e tra i manifestanti riscuote consensi l’idea di presentare una lista per le elezioni europee. Due mesi fa, prima della “rivolta delle rotatorie” e delle concessioni ai manifestanti, le considerazioni sul suo mandato erano certamente più positive. Perché la macchia dell’affaire Benalla e le dimissioni polemiche dei ministri Hulot (Ambiente) e  (Interno), non hanno certo cancellato le riforme strutturali approvate da maggio 2017 in poi, né oscurato i grandi cantieri avviati per portare la Francia nel Ventunesimo secolo.

  

Dalla copertina del Time a quella di Forbes

Due copertine raccontano l’euforia riformista di Macron fino all’esplosione della protesta dei gilet gialli: la prima è quella del Time, che a novembre 2017 lo ha indicato come il “futuro leader dell’Europa”; la seconda è quella di Forbes, che nella primavera di quest’anno lo ha benedetto come il nuovo “campione del libero mercato”. La “une” del magazine newyorchese appare oggi un po’ sbiadita alla luce degli ostacoli che l’inquilino dell’Eliseo sta incontrando nel suo progetto di riforma dell’Ue, con la Merkel fortemente indebolita, la pessima relazione con il governo sovranista italiano e le ostilità del blocco dell’est. Ma l’Europa che si riconosce nel suo discorso della Sorbona dovrà compattarsi se non vorrà morire di populismo, anche perché all’orizzonte non si vedono altri leader capaci di rilanciare il sogno europeo. La copertina di Forbes, invece, non ha perso ancora lo smalto, perché mai si era visto un presidente francese dare una tale scossa liberale al paese più statalista e statolatrico d’Europa – ci aveva provato Nicolas Sarkozy nel 2007 con la Commissione Attali, ma sappiamo come è andata a finire.

  

  

 

Il ritmo delle riforme

Con la loi Travail, ha riformato il mercato del lavoro e assestato il primo colpo agli oltranzisti della Cgt (la Cgil francese). Con la riforma della Sncf, le ferrovie nazionali, ha sferzato il secondo ai sindacati riottosi, modernizzando uno dei totem inattaccabili della macchina statale. Con la soppressione progressiva della “taxe d’habitation”, l’Imu francese, ha tolto un peso fiscale fastidioso alle classi medie, e con la riforma della formazione professionale ha lanciato un messaggio forte al mondo del lavoro. La riforma dell’accesso all’università, che ha introdotto una selezione su base meritocratica, rientra anch’essa nel disegno di trasformazione liberale della società, assieme alle politiche per l’economia digitale volte a far emergere i nuovi talenti dell’high-tech e a rafforzare l’idea di una Francia come “progetto di emancipazione degli individui” (lo scrisse da candidato di En Marche! nel suo libro manifesto “Révolution”). Non va dimenticato, infine, l’ambizioso piano per la transizione ecologica della Francia, la Programmazione pluriennale per l’energia (Ppe).

  

Dal Macron-loving al Macron-bashing

Tante riforme, tanti cantieri e un’immagine della Francia che all’estero è migliorata nettamente dopo gli anni bui dell’immobilismo hollandiano, eppure il passaggio dal Macron-loving al Macron-bashing è stato fulmineo dopo l’affaire Benalla e l’irruzione dei gilet gialli. Per Alain Duhamel, giornalista di lungo corso, sono le sue frasi provocatorie – “i galli refrattari al cambiamento”, “basta attraversare la strada per trovare un lavoro” – ad aver fomentato un accanimento nei suoi confronti. Fatto sta che dai social ai banchi dell’opposizione i toni hanno continuato ad inasprirsi contro il presidente della Repubblica. E la crisi aperta dai gilet gialli, che ha inginocchiato l’esecutivo, è stata l’occasione perfetta per maramaldeggiare sulla situazione complicata in cui versa tutta la macronia. Anche all’estero, dall’Italia alla Germania, si è fatto a gara, tra i populisti, a cavalcare l’ondata gialla anti Macron. Ma il presidente francese, oramai, ci ha fatto l’abitudine. Da ministro dell’Economia, era già stato preso di mira dai pasdaran di François Hollande, che detestavano le sue proposte liberali.

  

L’inizio del “periodo politico” e le malelingue sulla sua “fine”

Come ha sottolineato Les Echos, Macron sta per entrare nella fase più delicata del suo quinquennio, il “periodo politico”, quello dei primi test elettorali, che diranno se quello con i francesi è stato soltanto un amorazzo, o se è stata una crisi, dura certo, ma di quelle da cui si può uscire, perché c’è volontà da entrambe le parti. Fra meno di sei mesi ci sono le elezioni europee, che mostreranno se Lrem potrà aspirare a fare in Europa quello che ha fatto in Francia due anni fa, o se la rivoluzione neoeuropeista della generazione dei quarantenni rimarrà soltanto un desiderio inappagato. Dietro l’angolo, nel 2020, ci sono anche le elezioni comunali, dove vedremo se il macronismo riuscirà a radicarsi a livello territoriale. Non resta molto tempo per smentire i pessimisti che a telecamere spente dicono che Macron è già “game over”.

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