Un cartello al confine tra le due Irlande avverte la strada potrebbe essere chiusa a partire da marzo 2019 (Foto LaPresse)

Gli unionisti nordirlandesi sono pronti alla “guerriglia” sulla Brexit

Gregorio Sorgi

"Strizzeremo le palle al governo finché non gli sanguinano le orecchie", ha detto un dirigente del Dup. La May a caccia di appoggi per fare passare l'accordo 

Roma. Il partito unionista nordirlandese Dup, che con i suoi dieci deputati dà la maggioranza al governo di Theresa May, promette “una guerriglia” contro l’intesa sulla Brexit proposta dall’Unione europea. Il nodo della questione è il cosiddetto “backstop”, un accordo di riserva tra il Regno Unito e l’Ue per evitare dei controlli al confine tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del nord. La proposta del capo negoziatore di Bruxelles, Michel Barnier, è di lasciare il Regno Unito nell’unione doganale e l’Irlanda del nord nel mercato unico europeo. Questa intesa resterà in vigore finché Londra e Bruxelles non trovano un accordo commerciale. Il Dup ha promesso battaglia, non tanto per le conseguenze pratiche di questo scenario, ma per il suo messaggio politico. Verrebbero introdotti dei controlli sui beni alimentari tra il Regno Unito e l’Irlanda del nord, per assicurarsi che siano compatibili con gli standard europei. Non sarebbe la fine del mondo, considerato che oggi il 10 per cento dei prodotti viene ispezionati alla frontiera.

 

Tuttavia, la leader del Dup Arlene Foster teme le conseguenze politiche del backstop: l’Irlanda del nord continuerebbe a fare parte del mercato unico europeo, la Gran Bretagna no. Belfast si troverebbe più vicina a Dublino, e più lontana da Londra. E questa sarebbe già una grande sconfitta esistenziale per gli unionisti. Poi, i nuovi rapporti darebbero voce ai repubblicani nordirlandesi, i quali chiedono un referendum per unire le due Irlande. Il dibattito si è aperto anche tra i Tory. Ad esempio, il remainer conservatore Hugo Swire è pronto a votare contro il governo sulla Brexit per tutelare l’integrità del Regno Unito.

 

Il Dup ha un grande potere di negoziazione perché i suoi voti sono fondamentali per il governo May. La Foster ha minacciato di votare contro la manovra dell’esecutivo in caso di accordo sul backstop e la May ne ha subito preso atto. Ieri il segretario per la Brexit, Dominic Raab, ha rimesso in discussione l’accordo con l’Ue e ha rimandando tutto al summit di mercoledì, cui parteciperà la May. Un segno che i conservatori temono una rottura dell’asse con i nordirlandesi. Un dirigente del Dup ha detto, riferendosi al governo di Londra: “Gli strizzeremo le palle finché non gli sanguinano le orecchie”. Se la May riuscisse a trovare un gruppo di deputati laburisti pronti a votare a favore dell’accordo sulla Brexit, si troverebbe comunque senza una maggioranza in Parlamento.

 

Le resistenze del Dup non prevedono alcuna via di uscita. In una conversazione privata con la capogruppo dei conservatori al Parlamento europeo, la Foster avrebbe detto che “siamo pronti per un no deal, che ormai è lo scenario più probabile”. Tuttavia, per i nordirlandesi anche questa strategia è molto rischiosa. La leader del partito repubblicano di Belfast, Mary Lou McDonald, ha detto che in caso di mancato accordo sulla Brexit proporranno un referendum sull’unione con Dublino. La Foster dovrà scegliere tra il male minore e non è escluso che la sua intransigenza sia in realtà una stratagemma per ottenere qualche concessione in più sia da Londra sia da Bruxelles.

 

Il Dup non può fare cadere il governo: per la sfiducia è necessaria una maggioranza di due terzi dell’Aula. Però può esercitare una pressione sproporzionata rispetto al suo peso elettorale (0,9 per cento alle scorse elezioni). Ed è paradossale che la Brexit rischi di arenarsi proprio sul confine irlandese, un problema che non è mai stato preso in considerazione nella campagna referendaria. Suscitano una certa ironia le frasi di Arlene Foster nel 2016: “L’impatto della Brexit sulla questione irlandese? Non c’è pericolo, gli avvertimenti sono una disgrazia”.