Londra, in migliaia in piazza per la marcia anti Brexit (foto LaPresse)

Resistenza di piazza

Paola Peduzzi

Così il People’s Vote anti Brexit ha superato le proprie debolezza. E ora è meglio di un terzo partito (mai nato)

Milano. Quando è nato, il movimento People’s vote sembrava un’altra, inutile iniziativa del popolo anti Brexit del Regno Unito che vive nel rimpianto e nella speranza di cambiare l’inevitabilità della Brexit. Fin dal giorno successivo al referendum del 2016, si è fantasticato sulla possibilità di creare un movimento d’opposizione che rappresentasse il 48 per cento che aveva votato “remain”: ci sarà una rinascita dei proeuropeisti dei Lib-dem, si diceva, si spaccherà il Labour e si spaccheranno i Tory, si formerà un nuovo, terzo partito anti Brexit, e sarà fortissimo. Nulla di tutto ciò è accaduto. Poi è arrivato People’s Vote.

    

Il People’s Vote è un movimento grassroots nel senso più puro del termine: ci troviamo in piazza e chiediamo un nuovo referendum sull’accordo sulla Brexit negoziato dal governo, abbiamo il diritto di cambiare idea. Strada facendo, complici le diverse opinioni sulla Brexit migliore da ottenere dal negoziato, le fratture nel partito di governo, le lotte di potere e le tattiche inefficaci del Labour, il People’s vote è diventato un nuovo movimento per il “remain”: il problema della Brexit è la Brexit stessa, non facciamola più. O almeno, chiediamo agli inglesi se preferiscono l’accordo negoziato o il ribaltamento della Brexit. In un primo momento, pareva che l’evoluzione del People’s vote fosse troppo radicale: il popolo inglese ha già deciso di volerla, la Brexit, si può non essere d’accordo, ma ricontarsi un’altra volta vorrebbe dire ribaltare una volontà popolare già espressa (e se si perde un’altra volta?). Poi però anche i più cauti hanno iniziato ad appassionarsi all’idea di rimettere tutto in discussione, soprattutto perché è diventato più opprimente il pericolo di un “no deal” con l’Europa, l’opzione catastrofica. L’azzardo si è trasformato in un richiamo, così come un’altra apparente debolezza, la mancanza di un leader, di un volto del People’s vote, è diventata una forza: siamo tanti, siamo un popolo, non abbiamo bisogno di un testimonial. E’ la resistenza di piazza, di massa, la nostra leadership.

  

Così il People’s vote è diventato un fatto non più ignorabile. Il governo esclude un secondo referendum, la premier Theresa May sul palco della conferenza dei Tory ha criticato il People’s vote, mentre dalle parti del Labour si è dovuta almeno lasciare aperta la possibilità, in caso di emergenza, di organizzare un nuovo referendum. Il ministro dell’Interno Sajid Javid ha detto di trovare “deeply unhelpful” “profondamente inutile” il fatto che molti esponenti politici vadano in giro a prospettare un referendum infattibile mentre il governo lavora per il negoziato. In un attimo, “deeply unhelpful” è diventato lo slogan sulle magliette del People’s vote ed è stato monopolizzato dal giornale che più combatte la Brexit come unica missione: il New European. Non si è fatto un partito, i leader politici litigano troppo, ma si sta facendo la resistenza: spontanea, dal basso, educata, giovane e anziana. Non è detto che abbia successo, anzi è molto difficile: ma è l’unica opposizione che ha trovato un cuore.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi