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Niente giustificazioni per “Animal Assad”

Daniele Raineri

I russi negano la strage di civili con armi chimiche, Trump minaccia una rappresaglia e si prende un giorno per pensare, Israele bombarda gli iraniani in Siria e dice: il rais di Damasco è “l'angelo della morte”

Roma. All’ottavo anno di guerra civile non potrebbe essere più chiaro di così: nessuno pensa a un regime change in Siria per cacciare il presidente Bashar el Assad. Chiunque avesse voluto provarci avrebbe potuto sfruttare le occasioni offerte dagli sconvolgimenti e dalle atrocità nei sette anni precedenti. E’ vero invece l’opposto: ormai tutti i leader più importanti del mondo pensano che Assad resterà al suo posto. Il presidente Donald Trump vuole ritirare i soldati americani dalla Siria – e comunque quei soldati stanno nella parte di Siria controllata dai curdi, che sono nemici dei ribelli colpiti con le armi chimiche. Il presidente russo Vladimir Putin è un grande alleato di Assad. L’Unione europea tratta sottobanco con il rais siriano. Il principe saudita Bin Salman ammette nelle interviste che Assad sarà presidente a Damasco ancora a lungo. Parlare di un’operazione “false flag”, quindi di un bombardamento con armi chimiche compiuto da una mano non meglio specificata per far ricadere la colpa sul governo siriano e così manipolare l’opinione pubblica verso il regime change, non ha davvero senso. A farlo sono rimasti soltanto i complottisti fanatici separati dalla realtà e le agenzie di stampa delle capitali direttamente interessate, Mosca e Damasco, ovviamente per deflettere le responsabilità. Ma per loro è sempre così dopo ogni attacco grave con armi chimiche in Siria (o in Inghilterra). Nell’agosto 2013 dissero che la strage nella Ghouta era stata un’operazione false flag. Nell’aprile 2017 insinuarono che la strage di Khan Sheikhoun fosse una false flag. Adesso sostengono di nuovo la teoria dell’operazione false flag. A parte questi tentativi dolosi di offuscare i fatti, nei tre giorni passati tra l’attacco che sabato sera a Duma ha ucciso cinquanta civili e oggi sono uscite notizie significative. Ecco quali.

 

Trump si è dato una finestra di 24-48 ore per prendere una decisione su come reagire e ha detto che ci sarà “un grande prezzo da pagare per questo attacco”. “Se sono stati i russi, la Siria, l’Iran, o tutti e tre assieme, lo scopriremo. Tutti pagheranno un prezzo”. Nell’aprile 2017 dopo il bombardamento chimico sul villaggio siriano di Khan Sheikhoun ordinò il lancio di una salva di missili Cruise contro la base da dove era partito l’aereo che aveva sganciato il sarin. La rappresaglia uccise sei soldati, risparmiò intenzionalmente la struttura di potere che regge “Animal Assad” e non cambiò il corso della guerra civile. Fonti del governo americano hanno detto che secondo i primi accertamenti sulla strage di Duma si tratta di nuovo di agente sarin. E’ stato anche il primo giorno alla Casa Bianca per John Bolton, il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale che ha fama di essere un falco spiccio e favorevole agli interventi militari.

 

Israele nella notte tra domenica e lunedì ha colpito per la terza volta la base militare T-4, nel deserto vicino Palmira, e ha ucciso quindici soldati di cui quattro iraniani. Questo raid non c’entra con il massacro di Duma, fa parte di una lunga serie di bombardamenti cominciata nel 2013, ma è possibile che gli iraniani in Siria stessero trasferendo materiale prezioso in previsione di un possibile attacco americano, che si siano in qualche modo esposti e che gli israeliani abbiano approfittato dell’opportunità per colpirli. Per farlo gli aerei hanno bucato le difese aeree della Siria, gestite dalla Russia, proprio mentre in teoria erano in massima allerta. Era dal 10 febbraio, quando un jet israeliano fu abbattuto dopo un raid sulla stessa base, che Gerusalemme non lanciava attacchi aerei in Siria e questa volta sembra che gli aerei israeliani si siano limitati a lanciare missili cruise da sopra il confine libanese, senza entrare e senza esporsi troppo. Il ministro israeliano per la Sicurezza, Gilad Erdan, ha detto che “Assad è l’angelo della morte e il mondo starebbe meglio senza di lui” e ha invitato i governi occidentali a punirlo con durezza. L’atteggiamento di neutralità distaccata tenuto da Israele nei primi anni della guerra in Siria è ormai un ricordo.

 

La Russia ha cambiato posizione sui continui bombardamenti di Israele in Siria. Per la prima volta il ministero della Difesa russo ha identificato con un rapporto esplicito e dettagliato il bombardamento israeliano. Israele colpisce con frequenza le installazioni militari iraniane in Siria e ha compiuto più di cento raid a partire dal 2013, ma finora la Russia aveva evitato di dirlo per mantenere una certa ambiguità che conviene a tutti, anche all’Iran e a Damasco. Ora l’ambiguità è finita e il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha dichiarato che il bombardamento israeliano sulla T-4 “è uno sviluppo molto pericoloso”. Se Israele pensava che la Russia avrebbe agito come un cuscinetto per prevenire una guerra con l’Iran in Siria deve ricredersi.

 

Infine, il giorno dopo la strage con armi chimiche i ribelli asserragliati dentro Duma hanno accettato la resa, hanno rilasciato centinaia di ostaggi e hanno accettato un trasferimento a nord. Erano seimila, con decine di pezzi di artiglieria. In un altro sobborgo di Damasco, a Darayya, meno di mille ribelli resistettero per più di tre anni. Il prezzo da pagare dall’esercito siriano per espugnare Duma sarebbe stato molto alto, con buona pace di chi sostiene che “non c’era un motivo tattico di usare le armi chimiche”. L’accordo di capitolazione inoltre è stato raggiunto soltanto grazie ai mediatori russi. Con l’attacco chimico di Duma il governo siriano ha infierito sugli assediati, ha galvanizzato i suoi sostenitori e ha messo la firma siriana – e non russa – sulla resa dell’ultima grande enclave ribelle della capitale.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)