Un missile Tomahawk Land Attack (TLAM) lanciato dall'incrociatore USS Cape St. George (foto Wikimedia)

L'alleanza anti Assad di Trump & Co.

Daniele Raineri

Damasco risponde con una manovra diversiva alle minacce concrete di Donald e dei compagni di ritorsione

Roma. Il presidente americano, Donald Trump, ha annullato il viaggio in Sud America che a partire da venerdì doveva portarlo a Lima in Perù e a Bogotà in Colombia per seguire la crisi in Siria, e anche il capo della Difesa, Jim Mattis, ha annullato i suoi viaggi. Questa coincidenza indica la possibilità molto alta di una rappresaglia militare nei prossimi giorni o già nelle prossime ore da parte dell’America e di alcuni alleati contro la Siria di Bashar el Assad – che potrebbe essere più incisiva di quella dell’aprile 2017 quando tutto si consumò in una notte con una bordata di missili cruise contro un aeroporto militare già semi-evacuato. La Francia è già della partita, il Regno Unito ha messo in allerta la sua base nel sud dell’isola di Cipro e pure l’Arabia Saudita ha detto di essere impegnata in colloqui con i suoi alleati “per decidere assieme una rappresaglia per la strage con armi chimiche a Duma”. Si è creata una coalizione di paesi che si sta prendendo carico di un possibile intervento e c’è un punto da sottolineare. Nessuno parla della necessità di un regime change a Damasco, quindi della volontà di cacciare “Animal Assad” (come l’ha chiamato Trump in un tweet) dal suo posto – si parla piuttosto della necessità di azzerare l’uso delle armi chimiche, dopo tre stragi con molte vittime e altri e più numerosi attacchi troppo piccoli per superare la soglia dell’attenzione mondiale.

    

Anche il governo siriano legge molto bene la concretezza dell’azione militare in arrivo e tenta di reagire in due modi. Sposta i suoi aerei da guerra nella base di Latakia, che è quella data al corpo di spedizione russo e protetta dai sistemi di difesa gestiti dai russi, nella speranza ben riposta che i raid americani si tengano al largo da quel sito, e ne sposta altri all’aeroporto internazionale di Damasco, nella speranza che sia considerato come un sito civile e non militare, ancorché usato molto spesso per gli spostamenti di materiale bellico e soldati dell’Iran. Il secondo modo di reagire da parte dei siriani è diplomatico: hanno invitato con effetto immediato una missione dell’Organizzazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche (Opcw).

 

   

Si tratta di una missione cosiddetta fact-finding (Opcw-Ffm), vuol dire che si occuperà di accertare se è stata usata un’arma chimica, il che sarebbe un passo avanti visto che fra le versioni contraddittorie accampate dal governo siriano e dallo sponsor russo c’è che i ribelli si sono autoinflitti l’attacco chimico ma anche che non c’è stato alcun attacco chimico. Ma la missione più importante sarà soltanto la successiva, quella di tipo Opcw-Jim, dove Jim sta per Joint investigative mechanism, che si occupa di stabilire chi ha usato l’arma chimica. Si tratta di una mossa cinica per prendere tempo. Ci vorranno mesi per la squadra di tecnici internazionale per presentare le conclusioni e quando succederà la Siria e la Russia semplicemente le ignoreranno, con il vantaggio di avere guadagnato tempo.

 

Alla fine di ottobre 2017 la missione Opcw-Jim che ha indagato sulla strage con armi chimiche di Khan Sheikhoun ha stabilito che la responsabilità è del governo siriano: una conclusione che misteriosamente è ignorata da tutti ancora oggi in favore di non meglio specificate teorie alternative. A novembre la Russia con un veto al Consiglio di sicurezza ha bloccato il rinnovo per un altro anno della commissione d’inchiesta dell’Opcw sulle stragi con armi chimiche in Siria e di fatto l’ha eliminata. Il risultato paradossale è che in Siria ci sono ancora stragi con armi chimiche ma la commissione d’inchiesta non c’è più. Così adesso il governo siriano, proprio come aveva precipitosamente aderito alla Opcw nel settembre 2013 quando temeva i raid aerei dell’Amministrazione Obama dopo il massacro di 1.400 civili con il sarin alla periferia di Damasco (salvo invece nascondere scorte di armi chimiche), chiede una nuova missione Opcw per una nuova strage. Se questa diversione diplomatica riuscisse, per la Russia e la Siria sarebbe molto più efficace della minaccia di un confronto militare diretto contro l’America. Gli aerei russi effettuano sorvoli aggressivi a bassissima quota sopra le navi americane in avvicinamento, ma ci sono ragionevoli dubbi sul fatto che accetterebbero il confronto. Quando a inizio febbraio una compagnia di mercenari russi è stata colpita dall’aviazione americana vicino Deir Ezzor e ha subito “decine di vittime”, il governo russo ha insabbiato la faccenda: in pratica non ha reagito.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)