Carlo Bonomi (LaPresse)

Lavorare meglio, lavorare tutti

Bonomi e gli stati generali che mancano: quelli della svolta delle imprese

Stefano Cingolani

Gli attori della ripresa sono dentro le aziende non dentro lo stato. Il vero cambiamento nasce dal modo di organizzarle. Cosa non torna nel j’accuse del capo di Confindustria

Roma. “L’impegno contro una nuova dolorosa recessione può avere successo solo se non nascondiamo colpe ed errori commessi da tutti negli ultimi 25 anni”, twitta Carlo Bonomi dagli Stati generali di villa Pamphilj dove ieri pomeriggio si è incontrato con Giuseppe Conte. Il presidente della Confindustria ha cominciato dalle colpe e dagli errori del governo. E si è fermato là. Ha chiesto, assumendo per scontato che i suoi associati hanno già dato. L’ultima richiesta riguarda l’immediato rispetto per la sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di accise sull’energia, impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo stato nonostante la sentenza della Corte di cassazione”. Bonomi ha girato il coltello nella piaga perché lo stato è in debito verso le imprese visti i ritardi mai colmati nei pagamenti delle fatture. La Confindustria si riferisce in particolare all’addizionale provinciale sull’energia elettrica, abrogata nel 2012: una sentenza della Corte di cassazione ha sancito che le aziende che l’hanno versata hanno diritto alla restituzione delle somme. In ballo ci sono gli importi pagati nel 2010 e nel 2011. Ma l’attacco è molto più vasto. Bonomi ieri ha portato con sé “Italia 2030”, il contropiano della Confindustria, la replica alle proposte della commissione Colao e del governo che lo hanno deluso come ha confessato l’altro ieri davanti alla stampa straniera: “Mi aspettavo dal governo un piano ben dettagliato con un calendario e obiettivi specifici. Questo piano non l’ho visto e sarei curioso di leggerlo”. Nella introduzione al lavoro dei suoi esperti, Bonomi scrive che “è mancata finora una qualunque visione sulla fase 3, da far seguire a chiusure e riaperture. La fase, cioè, in cui definire sostegni immediati alla ripresa di investimenti per il futuro, riprendendo e potenziando in toto l’impianto d’Industria 4.0 e affiancandovi un grande piano Fintech 4.0”. Il governo invece “sta scegliendo di favorire l’assistenza e non di liberare l’energia del settore privato. La cassa integrazione è stata anticipata in vasta misura dalle imprese e così sarà per ulteriori quattro settimane”, e ci sono stati “gravi ritardi anche per le procedure annunciate a sostegno della liquidità”. In generale, “le misure economiche italiane si sono rivelate più problematiche di quelle europee”.

  

Lancia in resta ancor più di Maurizio Landini, il quale ha chiesto “una radicale cesura rispetto al passato”, ma si è proposto come “parte attiva”, un segnale di collaborazione sia pure alle sue condizioni, rinviando anche lui qualsiasi accento autocritico. Né il segretario della Cgil né il presidente della Confindustria sembrano disposti a compiere una riflessione aperta su quel che avviene in casa loro. Chiedono più spesa pubblica e meno tasse riducendo il cuneo fiscale, nel momento in cui il debito dello stato è arrivato al 160 e forse più per cento del pil.

 

Dalla crisi, per la sua natura e la sua profondità, però, non si esce allungando i tentacoli del Leviatano. Lo ha ricordato Ignazio Visco, anche se la sua è rimasta una voce che grida nel deserto. Il Foglio ha pubblicato l’intero intervento del governatore della Banca d’Italia agli Stati generali; ricordiamo qui i passaggi essenziali finora caduti nel vuoto: 1. “Il principale problema della nostra economia è, da oltre 20 anni, quello della bassa crescita, a sua volta riflesso della debolissima dinamica della produttività”. 2. “Per riportare la dinamica del pil almeno all’1,5 per cento, il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale, servirà quindi un incremento medio della produttività del lavoro di quasi un punto percentuale all’anno”. 3. “I ritardi di produttività accumulati non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive”. Il governatore ricorda il gap italiano nella ricerca, una colpa che accomuna pubblico e privato perché “il settore produttivo investe nella ricerca appena lo 0,9 per cento del pil, contro l’1,7 per cento della media dei paesi dell’Ocse”. Ci sono dunque responsabilità anche da parte degli imprenditori chiamati oggi a compiere sforzi non indifferenti per stare al passo con la grande trasformazione che la pandemia ha accelerato. Il primo cambiamento comincia dal modo di lavorare e di organizzare le aziende. Il governo può favorire oppure ostacolare questo processo, ma gli attori protagonisti sono dentro alle imprese non dentro allo stato.

 

Giuseppe Conte se l’è presa per il tono e per i contenuti dell’intervento di Bonomi. “Qualcuno crede che questo governo abbia un pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica – ha dichiarato – Voglio precisarlo molto chiaramente: le misure che abbiamo elaborato e inserito nei nostri provvedimenti sono dedicate al sostegno delle imprese. Per noi l’impresa è un pilastro della nostra società”. Dobbiamo forse aspettarci, a questo punto, che il capo del governo chiami sindacati e Confindustria per affrontare il problema numero uno dell’economia italiana, quello che ha detto Visco: aumentare la produttività del lavoro (notare, “del lavoro” non genericamente del sistema) di un punto percentuale all’anno. Lavorare meglio, lavorare tutti, lavorare di più.

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