Carlo Cottarelli (foto LaPresse)

Eccolo il vero piano choc

Annalisa Chirico

Dati alla mano, non esiste rilancio senza cambiare la giustizia. Parla Cottarelli

“Non credo che servano un commissario al Recovery Fund né l’ennesima task force di esperti convocati soltanto per un’operazione di immagine. Di questo passo non andremo da nessuna parte: l’Italia ha già perso gli ultimi vent’anni e un ulteriore ritardo, in piena emergenza economica, sarebbe letale”. Carlo Cottarelli è il tecnico dal volto umano, quello che, quando il Quirinale lo contattò per affidargli la guida di un possibile governo, raccontò di aver ricevuto la telefonata mentre se ne stava sdraiato sul divano a guardare una puntata di Breaking bad su Netflix.

 

L’economista, che, dopo una carriera trentennale al Fmi, oggi dirige l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, si è tenuto in forma, durante il lockdown, percorrendo su e giù, per quattrodici volte al giorno, i sette piani del palazzo condominiale a Cremona. A lui chiediamo quali siano le sempre annunciate “riforme a costo zero”. “Riduzione dei tempi della giustizia e semplificazione burocratica: sono le riforme più importanti per rilanciare l’economia italiana. Ci sono troppi moduli da compilare, troppi adempimenti da espletare. Pensi alla mole di documenti che le aziende devono presentare per ottenere i prestiti garantiti dallo stato: è un’impresa che abbrutisce. Dobbiamo procedere più svelti, con procedure semplificate e controlli successivi rigidissimi; solo così possiamo creare un ambiente favorevole agli investimenti privati. E poi, come terzo elemento, serve un piano di investimenti per l’istruzione pubblica e la formazione del capitale umano”.

 

Il giudice emerito della Consulta Sabino Cassese ha criticato i decreti governativi: troppe norme, scritte male e spesso contraddittorie. “La risposta italiana alla crisi pandemica è stata lenta e accidentata. I provvedimenti del governo sono farraginosi e poco efficaci. Il decreto Rilancio, che doveva essere emanato ad aprile, richiede almeno una ottantina di ulteriori decreti per la sua implementazione. Il Cares act, approvato dal governo Usa a fine marzo, include un pacchetto di 2,3 trilioni di dollari, pari all’11 per cento del Pil, il più ampio della storia americana, ed è lungo un terzo del corrispettivo italiano. Il problema è che negli uffici ministeriali i provvedimenti vengono formulati sempre dalla stessa cerchia ristretta di funzionari, capigabinetto, giuristi. Per superare gli ostacoli posti dai burocrati, serve una volontà politica forte, devi essere disposto a rischiare capitale politico. Se invece ogni provvedimento è subordinato alla logica del consenso e a mere esigenze comunicative, diventa impossibile intervenire con efficacia”.

 

Con Next Generation EU, il piano di rilancio proposto dalla Commissione europea, l’Italia potrebbe aggiudicarsi risorse enormi, a patto di saperle impiegare. “E’ la prima volta che l’Europa mette a disposizione importi tanto elevati, e lo fa chiedendo, in cambio, non austerità ma capacità di spesa, investimenti pubblici per infrastrutture, digitalizzazione, capitale umano, riforma dei pubblici uffici e della giustizia”. La nostra performance nell’impiego dei fondi strutturali europei non fa ben sperare. “Dobbiamo presentare il prima possibile progetti dettagliati e credibili. Se i ministeri sono sprovvisti delle competenze necessarie, le cerchino altrove. O rimpiazzino i ministri. Non possiamo perdere tempo”.

 

Stando alla proposta di regolamento della “Recovery and resilience facility”, il grosso delle risorse europee affluirebbe nel 2023-2024 mentre l’anno prossimo gli esborsi previsti varrebbero il 5,9 percento del pacchetto da seicento miliardi. “La differenza la farà la rapidità d’azione del governo. Dobbiamo agire entro settembre al massimo”. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi propone il rafforzamento della contrattazione aziendale. “E’ una riforma di buon senso, mi auguro che i sindacati la accolgano. Oggigiorno ci sono posti di lavoro che non vengono creati perché non si concede uno spazio adeguato alla contrattazione aziendale. L’apertura di Bonomi segna una svolta anche per Confindustria che in passato ha preferito preservare un modello di negoziazione centralizzata”. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco prevede un calo del Pil, per quest’anno, fino a tredici punti percentuali: l’abbassamento delle tasse aiuterebbe la ripresa nazionale? “Sono convinto che la pressione fiscale in Italia sia troppo elevata: le aliquote vanno tagliate recuperando l’evasione. Ma in questo momento di crisi, con la gente maggiormente propensa a risparmiare, occorre aumentare la spesa per dare impulso alla crescita. Approfittiamo del momento per ridurre il gap infrastrutturale tra nord e sud Italia a due condizioni: procedure snelle e progetti intelligenti”.

 

Si evoca il modello del ponte Morandi: un anno per la realizzazione, il Codice degli appalti sospeso. “La sospensione pura e semplice comporta la rinuncia alle regole della concorrenza, una scelta che, alla lunga, rischia di rivelarsi dannosa. Ciò non toglie che una riforma del Codice sia necessaria e urgente”. In Italia appalti e cantieri evocano sempre lo spettro della corruzione. “E’ un problema reale ma il mero inasprimento delle pene serve a poco se poi i processi non vengono celebrati. Un sistema in cui le condanne non arrivano mai o cadono in prescrizione fa il gioco di chi infrange la legge. Noi dobbiamo abbinare procedure semplificate e controlli effettivi ex post. Chi sbaglia va sanzionato”.

 

La società post Covid sarà più digitale? “Indubbiamente sì, io stesso ho imparato a gestire molte attività da remoto: risparmio tempo ed energia. Tuttavia, il contatto umano è importante, guardarsi negli occhi è un tratto fondamentale del nostro stare insieme. Nel campo della burocrazia digitalizzare non basta: un processo autorizzativo può risultare complicatissimo anche se interamente digitalizzato. E’ necessario decentrare il processo decisionale in modo da responsabilizzare i singoli dirigenti pubblici con una scrupolosa valutazione dei risultati effettivamente conseguiti”.

 

Il reato d’abuso d’ufficio genera spesso la cosiddetta “paura della firma” che rallenta lo smaltimento delle pratiche. “C’è ampio consenso sulla necessaria riforma di questa fattispecie penale, dobbiamo però anche introdurre incentivi per chi si comporta correttamente. Un dirigente che agisce con lentezza va penalizzato: nei miei anni al Fmi, gli aumenti di stipendio dipendevano dalla valutazione annuale della performance di ogni dipendente. Questo discorso non riguarda solo i pubblici uffici ma anche la scuola: gli insegnanti più produttivi e disponibili ricevono un trattamento economico identico a quello di chi spesso si assenta. I sindacati dovrebbero sostenere una riforma che premi davvero il merito”. Ma oggi, dopo anni di retorica sulla meritocrazia, ha vinto l’uno vale uno, la livella verso il basso. “La colpa non è solo della classe dirigente o dei politici: siamo noi cittadini ad eleggere persone poco preparate. Prendiamocela con noi stessi. Del resto, come diceva Winston Churchill, la democrazia è la peggiore forma di governo, escluse tutte le altre”.

 

Lei è stato accostato al consigliere del Csm Piercamillo Davigo: Cottarelli è giustizialista? “Figuriamoci, io sono per una giustizia rapida ed efficiente. Certe frasi di Davigo sono volutamente provocatorie, io uso un linguaggio prudente. Il tema però è il funzionamento della giustizia: nessuno è disposto a investire in un paese che non è in grado di garantire la certezza della legge”. Come va riformata la giustizia? “Molti giudici non accettano l’idea che un tribunale sia un’organizzazione complessa che produce un servizio, e che tale servizio vada fornito in modo tempestivo. Occorre sviluppare migliori capacità di gestione e organizzazione all’interno degli uffici giudiziari, il che richiede non solo addestramento adeguato ma anche il riconoscimento di una larga autonomia al dirigente. Si potrebbero introdurre corsi obbligatori di management per chi aspira a incarichi direttivi. Sarebbe opportuno, inoltre, ridurre drasticamente il numero di magistrati fuori ruolo per incarichi amministrativi e limitare la possibilità di attività extragiudiziarie. I togati lavorino nei palazzi di giustizia, non nei ministeri”.

 

Un altro problema è l’eccessiva domanda di giustizia. “Negli Usa una quota considerevole delle controversie civili non viene risolta in tribunale ma attraverso processi extragiudiziali. I metodi alternativi esistono anche in Italia ma vanno potenziati affidando, per esempio, a notai e avvocati molte procedure di volontaria giurisdizione o estendendo la mediazione civile ad altri settori del contenzioso”. Le gare per gli appalti sono prigioniere della cosiddetta “ricorsite”. “E’ un grosso problema. Alcuni fruitori della giustizia amministrativa e civile hanno interesse a tirarla per le lunghe. Chi sa di essere in torto, per esempio, cerca di ritardare la sentenza finale, qualcuno può avere un incentivo a far partire la macchina con il solo scopo di dar fastidio a qualcun altro. Occorre agire accrescendo i costi per chi si comporta in modo inappropriato: aumentando, per esempio, il contributo unificato per gli attori in appello o in Cassazione che vedono respinto il loro ricorso, e per chi ha avuto torto due volte e insiste presso il giudice di legittimità, anche aumentando considerevolmente il risarcimento delle spese processuali a favore della controparte”. Il tribunale delle imprese, voluto dall’allora ministro della Giustizia Paola Severino, ha dato una buona prova. “A mio giudizio, quel modello va replicato, e le competenze, assegnate alle sezioni specializzate per le imprese, andrebbero estese. La specializzazione porta con sé maggiore celerità e qualità decisionale”.