"Ci vorrebbe un commissario alla transizione energetica", dice Brun (Shell Italia)
Il contrasto ai cambiamenti climatici come obiettivo a lungo termine, il peso della burocrazia che frena gli investimenti. Parla il presidente e ad del gruppo petrolifero
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“Ve lo immaginate che cosa sarebbe stato il periodo del lockdown senza l’industria energetica? L’isolamento avrebbe significato un balzo indietro nel Medioevo”. Con una battuta volutamente paradossale, Marco Brun, presidente e amministratore delegato di Shell Italia, comincia questo colloquio con il Foglio in cui riflette su transizione energetica e ripartenza approfittando del fatto che il dibattito pubblico sulla “fase 3” – vedi stati generali dell’economia – sembra meno condizionato da posizioni ideologiche sull’ambiente e più propenso a valutare quello che è necessario fare per rimettere in pista il paese. Sarà perché in quest’emergenza si sono tutti improvvisamente accorti che grazie al settore energetico – che piaccia o no è ancora basato in prevalenza sull’estrazione di idrocarburi - è stato possibile vivere comodamente nelle proprie case, comunicare, lavorare dal remoto, fornire elettricità agli ospedali e il carburante alle ambulanze, protezione civile e a tutti i soggetti che hanno dovuto continuare a circolare e operare, anche con le misure restrittive. “Intendiamoci, gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici sono fondamentali - e Shell li ha appoggiati fin dall’inizio - ma si possono raccontare le cose come stanno e cioè che la transizione energetica non è un interruttore che si spinge ma è una sfida di lungo termine, che può essere ostacolata da problemi già esistenti che la pandemia ha esasperato come la complessità della macchina amministrativa, l’eccesso di burocrazia e i tempi incerti per gli investimenti”.
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