Poliziotti americani durante l'influenza spagnola (foto LaPresse)

I lockdown lunghi fanno rimbalzare l'economia. Lezioni dall'influenza spagnola

"Le città che hanno mantenuto questi decreti più a lungo sono cresciute più velocemente nel medio termine". Uno studio mette in guardia dalla foga di ripartire

Roma. I governi dei paesi fiaccati da settimane di quarantena che legittimamente ragionano sulla graduale riapertura dei servizi propongono, anche senza twittarlo in maiuscolo, versioni sofisticate dell’argomento trumpiano “non possiamo permettere che la cura sia peggiore del male”, messa in testa al presidente americano dal giurista contrarian Richard Epstein. I lockdown affamano il virus e salvano vite umane, ma hanno un prezzo economico enorme, specie per chi è già fragile. Il costo potrebbe essere così alto che un filosofo di stretta osservanza utilitarista si troverebbe a dover decretare oltre quale soglia l’operazione di salvataggio delle vite può andare avanti senza produrre, nel tempo, danni anche peggiori per la condizione economica di un paese (che, com’è noto, qualche legame con la vita delle persone ce l’ha).

 

Imporre una scadenza artificiale con l’epidemia nella sua fase iniziale è un’assurdità che perfino Trump si è dovuto rimangiare in fretta, ma il problema della riapertura è cocente, e chi ha appena iniziato a vedere qualche pallido miglioramento nei numeri s’affanna a mettere giù piani di ritorno alla normalità, nella convinzione – dichiarata o implicita – che l’estensione della quarantena oltre un certo punto faccia danni sistemici irreparabili.

 

Un recente studio che analizza il rapporto fra gli interventi di salute pubblica e l’andamento dell’economia post pandemia nel caso dell’influenza spagnola del 1918-1920 suggerisce che le cose non stanno proprio così. Sergio Correia e Stephan Luck della Federal Reserve, assieme a Emil Verner del Mit, hanno studiato il comportamento delle città e degli stati americani, che com’è noto hanno adottato strategie anche radicalmente diverse, incrociando le misure di contenimento adottate, il tasso di mortalità e l’andamento dell’economia negli anni successivi.

 

Viene fuori che le città che hanno preso misure più restrittive e le hanno mantenute più a lungo hanno avuto meno morti – com’è logico dedurre – ma hanno avuto tassi di crescita economica più alti di chi invece ha scelto riaperture graduali per settori o fasce di popolazione. Il che è già meno intuitivo. “Le misure di contenimento hanno avuto un ruolo nell’attenuare la mortalità, ma senza ridurre l’attività economica” rispetto a chi ha preso strade diverse, scrivono gli autori. “Semmai, le città che hanno mantenuto questi decreti più a lungo sono cresciute più velocemente nel medio termine”, scrivono, spiegando che riaperture troppo rapide rispetto all’andamento della malattia hanno esteso nel tempo e reso più grave l’agonia. Seattle è stata la città con il miglior rapporto fra mortalità durante l’epidemia e rimbalzo economico una volta passata la tempesta, e si è conquistata il primato con una quarantena durata, in forme non sempre omogenee, 168 giorni. Esattamente come oggi, le autorità municipali avevano pressioni enormi per riaprire i battenti una volta passata la fase acuta, ma il sindaco di Seattle, Ole Hanson, ha tenuto la linea anche oltre quanto sembrava, al momento, ragionevole. Dopo venti giorni di lockdown l’ufficiale sanitario ha dichiarato che il picco dell’epidemia era passato, cosa che sembrava il preludio a un ritorno alla normalità. Il sindaco ha spiegato invece che i provvedimenti sarebbero rimati in vigore fino a data da destinarsi.

 

C’è una notevole differenza fra le circostanze dell’influenza spagnola e quelle della pandemia Covid-19, e cioè che da allora è trascorso esattamente un secolo, cent’anni punteggiati da scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche monumentali e rapidissime. Questo abisso che ci separa da allora potrebbe essere sufficiente a derubricare la ricerca in questione come un lavoro di rispettabile valore storico, ma inutile se non fuorviante se usato in analogia con il presente. Il fatto, però, è che molti stati alle prese con la pandemia, a partire dall’Italia, stanno mettendo in atto misure che non sono radicalmente diverse da quelle di allora. Distanziamento sociale, quarantena, cura dei malati: lo facciamo con altre competenze e altri strumenti rispetto a un secolo fa, ma la sostanza non è cambiata. Al contrario, chi sta seguendo la strategia del tracciamento dei casi, dei tamponi non solo massicci ma anche qualificati, della mappatura tecnologica dell’epidemia – vedi Corea del sud e Germania – si sta ragionevolmente attrezzando proprio per arrivare a poter strutturare una riapertura graduale, in modo da coniugare nel modo più efficiente possibile l’imperativo di salvare vite e l’esigenza di ripartire presto e in condizioni di sicurezza.

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