La guardia nazionale della Florida e gli operatori sanitari controllano i passeggeri davanti all'Hard Rock Stadium di Miami (LaPresse)

Florida flop

Paola Peduzzi

Tutti gli errori del trumpismo si vedono nello stato dei “vecchietti” che soltanto ora si arrende al lockdown

Milano. Ieri a mezzogiorno anche la Florida è entrata in parziale lockdown. Il governatore quarantunenne, Ron DeSantis, trumpiano con ambizioni nazionali per il 2024, ha fatto resistenza fino all’ultimo – novemila contagiati, 145 morti – pensando di poter contenere la diffusione del coronavirus lavandosi molto le mani e tenendo la distanza di sicurezza, come accade in circa venti stati americani che ancora non hanno introdotto le misure restrittive adottate in mezzo (letteralmente) mondo. C’è sempre una costante nella reticenza al lockdown, ed è l’affinità – o la fedeltà – trumpiana: se si guarda la classifica dei governatori più reattivi e di quelli inopinatamente lenti, tra i secondi c’è un elenco di leader repubblicani (fa eccezione il governatore democratico delle Hawaii, quel David Ige che nel 2018 non riuscì a correggere un falso allarme sull’arrivo di un missile dalla Corea del nord per ben 17 minuti perché non trovava la sua password di Twitter).

 

DeSantis però spicca, perché governa la Florida, il terzo stato più popoloso d’America, uno dei più ricchi e dei più anziani (una zona di “vecchietti” direbbe il brasiliano Bolsonaro) del paese e anche uno swing state dal punto di vista elettorale – e questo è anno di elezioni, in America. Così la Florida e la sua cocciutaggine riassumono con quella linea dritta verso l’alto nella progressione dei contagi la lentezza, la presunzione, le incertezze della Casa Bianca: per settimane abbiamo visto interviste dalle spiagge della Florida, gente al sole che si godeva la vacanza primaverile, soprattutto ragazzi, incoscienti con il cocktail in mano, tanto il Covid se arriva non ammazza mica noi. Lo stesso DeSantis ha detto ai cittadini e ai villeggianti di godersi la vacanza: i suoi consiglieri gli dicevano che il lockdown avrebbe ucciso l’economia dello stato, e il governatore riferiva a Trump le sue perplessità. Nei tentennamenti di Trump, c’è anche lo zampino di DeSantis. 

 

Poi i villeggianti sono tornati a casa e hanno portato il virus in tutta l’America e ora la situazione è come quella che abbiamo visto altrove: ospedali pieni, carenza di materiale sanitario, posti di lavoro perduti, progressione dei contagi. Per di più non funziona il sistema per avere accesso agli aiuti e ai sussidi di disoccupazione. Alcuni repubblicani hanno raccontato a Politico che non si tratta di un caos digitale tipo Inps, ma il meccanismo è stato studiato apposta per rendere difficoltoso ai cittadini l’accesso agli aiuti statali, perché così “i numeri dei disoccupati restavano bassi”. Per farsi belli e apparire come un modello funzionante, DeSantis e ancor più il senatore repubblicano della Florida, Rick Scott, hanno fatto in modo non di contenere la disoccupazione ma che i disoccupati non potessero farsi sentire. Ora che molti esperti dicono che la crescita dell’occupazione della stagione Trump, dal 2016 a oggi, uno dei fondamenti della retorica dell’America tornata grande, si è volatilizzata nell’ultimo mese, la questione lavoro torna a essere primaria nelle preoccupazioni degli americani.

 

Nel decreto con cui DeSantis ha imposto la quarantena in Florida, ci sono altri due elementi che definiscono il suo trumpismo: i sindaci non possono prendere iniziative locali, si rispettano le regole decise a livello statale. Per chi sgarra è prevista una sanzione. Il secondo elemento riguarda i luoghi di culto: sono considerati “essenziali” per la vita sociale della Florida e quindi resteranno aperti, pur rispettando le distanze di sicurezza (ci sono molte critiche su questo ultimo aspetto, e molti pensano che in queste ore il governatore cambierà idea). DeSantis ha capito di non godere di alcuna immunità di fronte al virus, ma conta su un trattamento preferenziale da parte del presidente Trump. Come sappiamo la Casa Bianca, nella sua dannata confusione, ha avuto fin da subito chiaro di voler giocare in modo elettoral-darwiniano la partita interna sul covid, e ha messo gli stati l’uno contro l’altro, evidenziando per bene quali erano i preferiti, e i disprezzati. DeSantis, che è un trumpiano devoto e per di più è in uno stato tanto importante, ora vuole superare i suoi colleghi, ottenendo più aiuti federali e in meno tempo.

 

Il piano escogitato da Trump però è pieno di lacune e stando agli ultimi sondaggi di popolarità se ne accorgono anche gli americani. Il tempo era cruciale – per chiudere, per riaprire – ma molti leader americani l’hanno sprecato e oggi non sanno più a che stime credere, quanto durerà la quarantena e nemmeno cosa mettersi per proteggersi il volto: le mascherine non ci sono più.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi