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Riaprire, avendo cura

Guido Tabellini

La capacità di convivere con il virus dipenderà da quanto saremo disposti a spendere contro i rischi di contagio

Ormai è chiaro che saremo costretti a convivere con il coronavirus fino a quando non sarà distribuito un vaccino, e probabilmente questo non avverrà presto. Quale è la strada migliore per salvare le vite senza uccidere l’economia? Spesso questi due obiettivi sono visti come contrapposti: misure più rigorose per contenere il contagio appaiono più letali per l’economia. Ma è una contrapposizione più apparente che reale.

 

Innanzitutto perché, con o senza lockdown, il contagio è comunque fatale per l’economia. Se avessimo iniziato subito a imporre misure più severe di distanziamento sociale, non solo ora avremmo meno morti, ma saremmo riusciti a riaprire prima e avremmo anche meno disoccupati. Attenti a non commettere di nuovo lo stesso errore, e riaprire troppo presto e troppo indiscriminatamente. Una risalita dei contagi costringerebbe a nuovi blocchi e imporrebbe costi economici ancora più alti.

 

I paesi asiatici sono stati più tempestivi e più rigorosi nel fermare il contagio, e le loro economie hanno sofferto di meno. Esattamente la stessa lezione viene dalla pandemia del 1918. Uno studio recente di tre economisti americani (Correia, Luck e Verner) mostra che le città americane che hanno imposto un lockdown più lungo e rigoroso, non solo hanno avuto meno morti, ma sono anche ripartite prima e più in fretta. La relazione positiva tra durata del lockdown e crescita economica non riguarda solo la tempestività con cui il distanziamento sociale è stato imposto, ma anche quando è stato tolto. Nelle città dove il distanziamento è durato più a lungo, la crescita economica è stata più rapida quando la pandemia è finita.

 

La contrapposizione tra esigenze economiche e sanitarie è sbagliata anche per una seconda ragione. Il modo migliore per far ripartire l’economia è spendere di più per ridurre i contagi, e soprattutto per identificare e isolare chi è infetto. Si legge che il governo sta preparando una fase di rilancio dell’economia con progetti ambiziosi di investimenti pubblici. Ma è troppo presto per sostenere la domanda aggregata. Prima bisogna sconfiggere il virus e rimettere i cittadini in grado di interagire in modo sicuro. Fino a che questo non sarà possibile, la produzione non potrà ripartire, indipendentemente da quanto è alta la domanda aggregata.

 

La questione fondamentale è come riaprire i luoghi di produzione tenendo basso il rischio di contagio. Oltre alle misure di sicurezza (mascherine obbligatorie, distanze, divieto di assembramenti), lo strumento su cui puntare è soprattutto uno: fare moltissimi tamponi, per scoprire in fretta chi è infetto ma asintomatico. Paul Romer, premio Nobel per l’economia nel 2018, ha stimato che, se si riuscisse a testare ogni giorno il 7 per cento della popolazione, il tasso di contagio tra individui scenderebbe sotto 1 (cioè il virus si estinguerebbe), anche ipotizzando una percentuale di falsi negativi pari al 30 per cento dei tamponi effettuati. Gli esami del sangue per scoprire chi è immune possono aiutare, ma sono secondari. Le persone infettate sono probabilmente troppo poche (in Lombardia meno del 5 per cento della popolazione, secondo uno studio di Carlo Favero), e dare una patente di immunità ad alcuni di loro farebbe ben poca differenza.

 

Oggi in Italia riusciamo a fare circa 35.000 tamponi al giorno. Per arrivare a testare il 7 per cento della popolazione dovremmo farne 100 volte tanti. Probabilmente è impossibile. Ma quanti tamponi riusciamo a fare dipende anche da quanto siamo disposti a investire in questo strumento. La logica economica suggerisce che sarebbero soldi spesi bene. Confindustria stima che ogni mese di lockdown riduce il reddito nazionale del 3 per cento, cioè di oltre 50 miliardi. Quanti tamponi in più riusciremmo a fare in un mese spendendo anche solo una piccola frazione di questa cifra? Probabilmente davvero tanti. Il punto importante è questo. La nostra capacità di convivere con il virus dipende soprattutto da quanto siamo disposti a spendere per ridurre i rischi di contagio, trovare presto gli infetti e isolarli, rintracciare i loro contatti, avere materiale protettivo, curare i malati, e anche prepararci fin da ora alla distribuzione del vaccino se e quando sarà disponibile. I costi economici del lockdown e di una risalita del contagio sono enormi, anche senza contare i morti. Dedicare molte risorse per ridurre i rischi e riuscire a convivere con il virus ci conviene dal punto di vista economico, non solo sanitario. I problemi scientifici, logistici, pratici per scoprire e isolare chi è infettato sono grandi, ma non sono insormontabili se vi sono risorse finanziarie e capitale umano per affrontarli, magari combinando le energie del settore privato con l’indirizzo e con risorse aggiuntive dello stato.

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