(foto LaPresse)

Noi, le mascherine e i nostri occhi senza volto

Sandro Veronesi

Le mascherine cancellano i volti e per capire cosa si nasconde dietro ai nostri occhi ci servono Billy Idol e Perri Lister

Ora che l’uso delle mascherine si è imposto da solo a dispetto delle assurde raccomandazioni a non usarle con le quali per un mese gli esperti ci hanno bombardato (il buon senso ha semplicemente prevalso, come qualche volta succede), si verifica un fenomeno abbastanza strano: delle persone, quando usciamo a far la spesa, noi vediamo soltanto gli occhi. Lo stesso accade per le persone che vengono intervistate nei notiziari televisivi, o ritratte in moltissime foto che circolano su giornali e social media. Occhi soltanto: grandi, espressivi, senza la faccia intorno. Occhi senza volto. E torna alla mente la vecchia canzone di Billy Idol che si chiama per l’appunto “Eyes without a face”, grande successo dei primi anni ’80, col suo fascino insinuante e respingente. 

 

 

Occhi senza volto. Considerando con attenzione questo brano – per la prima volta, lo confesso –, mi rendo conto che sono molte le analogie che presenta con il tempo scemo che ci ritroviamo a vivere in queste settimane. Si tratta di una canzone molto ambigua, tanto per cominciare, che sotto una linea melodica e un arrangiamento apparentemente innocui nasconde una tossicità altissima: del resto, è caratteristica comune a molti brani di quel periodo sembrare inoffensivi e trasportare al contrario il seme della malattia. Ecco dunque la prima analogia: ascoltandola senza far caso al testo sembra di avere a che fare con una innocente canzonetta – orecchiabile, freddina, un po’ elettronica com’era di moda –, così come sembra innocente parlare, ridere, abbracciarsi e andare al cinema e invece abbiamo scoperto che non lo è. Basta infatti ascoltare le parole per rendersi conto che la canzone parla di malattia – che la trasporta, addirittura, la malattia, che la sparge. Di nuovo, nulla di sensazionale, nel 1983, quando praticamente ogni gesto espressivo, alto e basso, elitario o popolare, mostrava questo tratto come emblema dello Zeitgeist (andate un po’ a leggervi il testo di “Bravi ragazzi” di Miguel Bosè, per dire): ma qui il morbo che la canzone trasporta e con il quale infetta anche coloro che non se ne rendono conto (gli asintomatici), è di quelli abbastanza terminali: si parla solo di gente senza speranza, di disprezzo, di solitudine, di tristezza, di mancanza di grazia, di spreco, di peggioramento. In pratica è una canzone disperata, una delle più disperate che siano mai state scritte. E – torniamo a galla, torniamo alla nostra coincidenza – si intitola “occhi senza volto”. Il fatto che a sua volta la canzone sia ispirata da uno dei più cupi film horror che siano mai stati fatti, “Eyes without a face”, per l’appunto, del 1960, del registra francese Georges Franju, non migliora le cose. 

 

Ma è anche la struttura del brano che sembra guidarci alla depressione e alla disperazione: perché a un certo punto, all’incirca a metà, il brano presenta un cambiamento piuttosto importante, e si fa più veloce, più elettrico, più decisamente rock, e sembra guarire dalla malaria che fin lì l’aveva marcito. Sembra arrivare un po’ di speranza, ecco, un po’ di futuro – e infatti il testo si fa più vitale, più ribelle, almeno, e accelera in una specie di rap ante litteram: ma dopo un minuto questo cambiamento scompare e la canzone rincasa, si può dire, nella stessa malaria di prima, con lo stesso compiacimento, la stessa rassegnazione, la stessa disperazione. E’ proprio la struttura, dunque, a essere malata: ci si può illudere di fuggirla, ma dopo un po’ ci si ricasca dentro per la semplice ragione che si tratta dell’unica cosa nella quale si può cascare. Ecco cosa trasmette questa remota canzone di Billy Idol (non Bob Dylan, non Springsteen o Joni Mitchell o Leonard Cohen) che porta lo stesso titolo, e dunque lo stesso nome, del nostro tempo scemo da quando è diventato appena appena meno scemo e la gente indossa le mascherine fregandosene delle linee-guida dell’Oms. Sembrerebbe una cosa bella, tutti questi occhi senza volto, soprattutto perché, stranamente, senza il volto intorno questi occhi sono tutti belli: e invece non lo è, perché è il simbolo della morte bianca, della malattia, del contagio. Balena all’improvviso il lampo d’un possibile cambiamento, e noi ci rianimiamo; ma riuscirà il cambiamento a vincere l’inerzia che vuole riportarci esattamente nel punto dal quale siamo partiti? Lo vogliamo davvero, questo cambiamento, o ce ne basta un assaggino, come nella canzone – a questo punto – più profetica che sia stata scritta nel secolo scorso?

 

Ah, è pure una canzone “globale”: il verso “eyes without a face”, cantato da Billy Idol, è alternato a “les yeux sans visage” cantato dalla voce da sirena di Perri Lister – bella e marcia pure lei, soprattutto allora –, che proprio oggi compie gli anni, gli stessi miei, e allora l’abbracciamo e le sussurriamo “happy birthday”, Perri, e poi “joyeux anniversaire”, e poi anche “buon compleanno”, coprendola di droplet.