"Sulla soglia dell'eternità" di Vincent Van Gogh

Finale di civiltà

Giulio Meotti

Strage di anziani in case di riposo. Cremazione. Razionalizzare le cure. E’ cronaca. Ma nel 1882 Trollope lo immaginò nel suo ultimo romanzo

“Si può mettere in dubbio che mai colonia più splendente, prospera e soprattutto più ordinata di Britannula sia stata istituita da coloni inglesi. La grande dottrina del ‘Termine fisso’ fu da esso ridicolizzata in principio, poi guardata con costernazione, ma, senza alcun dubbio, è stata la forte fede che noi di Britannula avevamo in quella dottrina a indurci alla nostra separazione”.

  

Si apre così l’ultimo romanzo del grande scrittore vittoriano Anthony Trollope del 1882, “The fixed period”. La vicenda è immaginata nel 1980 in una ex colonia dell’impero britannico, dove è stata decisa la morte a sessantotto anni, per liberarsi dal carico (economico e sanitario) di una popolazione che invecchia rapidamente, oltre che per alleviare le umiliazioni della senilità. A quel “periodo fisso” si viene “deposti” in un Collegio, chiamato così perché lì, all’ombra dei forni crematori obbligatori, per un altro anno si apprenderà a “morire bene”. Il romanzo risentiva di idee rivoluzionarie per il tempo: le nuove pensioni bismarckiane introdotte in Germania, l’allungamento della vita, il razionalismo darwiniano, i valori vittoriani dell’autosufficienza e del dovere civile, l’avvento della statistica, il malthusianesimo, il realismo sociale. Idee che anche oggi teniamo in grande riguardo. Come spiega Claudia Nelson nel suo studio sulla famiglia vittoriana, al tempo si pensava che “il benessere delle giovani generazioni avrebbe superato i bisogni delle persone anziane”.

 


Immagina un’isola dove a 68 anni gli anziani lasciano questo mondo. Trollope risentiva delle idee del tempo e le esorcizzò nel romanzo. La vicenda si complica quando a morire è l’amico del governatore. Vuole ancora vivere. Così scoppia una ribellione


 

La situazione per gli anziani era un tale problema sociale che, alla fine del 1880, il ricercatore sociale Charles Booth iniziò a fare pressioni per la creazione di una pensione finanziata dallo stato, un progetto che fu realizzato nel 1908. Questa atmosfera di ostilità e il disprezzo verso gli anziani faceva da sfondo a “The Fixed Period”. C’è poi il terrore di Trollope di avvicinarsi alla vecchiaia e la paura che non sarebbe stato più in grado di autosostenersi, oltre all’indignazione contro coloro che consideravano gli anziani sacrificabili.

 

Il governatore della colonia del romanzo, John Neverbend, calcola quanto risparmierebbero le casse dello stato da questa eutanasia di massa. “In media cinquanta sterline per ogni uomo e donna dipartiti. Se la nostra popolazione dovesse arrivare a un milione, presumendo che solo uno su cinquanta abbia raggiunto il ‘periodo fisso’, la somma risparmiata dalla colonia ammonterebbe a un milione di sterline l’anno, che contribuirebbe alle nostre ferrovie, a rendere navigabili i nostri fiumi, a costruire i nostri ponti e a fare di noi il popolo più ricco sulla terra. E ciò sarebbe reso possibile da un provvedimento che fa il bene degli anziani più di quello di qualsiasi altra classe della comunità”.

 

Questa misurazione rispecchia il linguaggio usato dal reverendo Malthus. Nel romanzo, la situazione è complicata dal fatto che l’isola crede in un numero di cose che successivamente i lettori potranno trovare perfettamente accettabili, illuminate, progressiste, giuste. A Britannula, per esempio, lo studio delle lingue è universale nelle scuole e la pena di morte è stata abolita. Al momento del voto della morte di tutti gli anziani, Britannula era composta da giovani. Gabriel Crasweller, un commerciante e proprietario terriero di successo, è il prossimo a doversi congedare dalla società. E’ il migliore amico di Neverbend. Crasweller aveva votato a favore della legge che ha introdotto il “periodo fisso”, ma come si avvicina alla data della propria uscita di scena diventa sempre più critico e pensieroso. E’ ancora sano e vigoroso.

 

Neverbend considera suo dovere come presidente e cittadino modello “depositare” l’amico. Ma il giorno del suo ingresso nel “College”, la carrozza che trasporta Crasweller viene fermata per le strade di Gladstonopolis dalle forze armate inglesi. Costringono Neverbend a rilasciare Crasweller e a dimettersi. La Britannula viene annessa alla Gran Bretagna, viene installato un nuovo governatore e Neverbend torna a Londra. Sulla nave finisce di scrivere il libro in cui spiega agli inglesi perché è necessario sbarazzarsi dei vecchi per far progredire l’umanità. Ma è proprio l’antinomia tra le finalità di civiltà e potenziamento antropologico di una simile legge e il barbaro mezzo scelto per perseguirli che fa sì che lo stesso “riformatore umanitario” Neverbend non possa accettare la morte se non relegandola nel gioco linguistico. Così, le parole “uccisione” e “vittima” sono bandite. Il riposo forzato diventa “la deposizione”, mentre la morte stessa è edulcorata è chiamata “cessazione prefissata dell’esistenza di coloro che altrimenti invecchierebbero” e il Collegio dove morire prende il nome di una scuola. “Le statistiche dicono che il sostentamento sufficiente a un vecchio è più costoso di quello di un giovane, come lo è la cura, il nutrimento e l’istruzione del bambino che ancora non produce profitto” dice Neverbend. “Ancora le statistiche ci dicono che i giovani che non producono profitto e i vecchi, non meno improduttivi, costituiscono un terzo della popolazione. Pensi il lettore di quale fardello è carica la forza lavoro del mondo. A questi vanno aggiunti tutti coloro che per malattia non possono lavorare e che per indolenza non vogliono. Come può un popolo prosperare quando è così gravato? E a che pro?”.

 

Trollope esorcizza il proprio incubo con questa distopia ironica. A quale età andarsene? “Quale doveva essere il ‘Termine fisso’? Questa era la prima domanda che esigeva una risposta immediata” racconta Neverbend. “Si ipotizzarono termini assurdi per la loro deliberata indulgenza — ottanta e persino ottantacinque anni! ‘Facciamo cento’, dissi io ad alta voce, riversando su di loro tutta la batteria del mio ludibrio. Io suggerii sessanta ma il termine fu accolto con silenzio. Ora io penso che sessant’anni fosse un’età troppo prematura e che i sessantacinque, ai quali, cortesemente, acconsentii, fosse il giusto ‘Termine fisso’ per il genere umano. Guardi ognuno fra i suoi amici e veda se gli uomini di sessantacinque armi non intralciano la strada di coloro che ancora aspirano a elevarsi nel mondo”.

 

Come e dove trascorrere l’ultimo anno per prepararsi? “Sessantasette anni e mezzo furono chiesti dalla maggioranza nell’Assemblea come ‘Termine fisso’. Di certo la colonia era determinata a invecchiare davvero prima di recarsi nel Collegio. Poi, però, sopravvenne un’ulteriore disputa. In quale momento del ‘Termine fisso’ si doveva trascorrere l’anno di grazia? I nostri dibattiti furono lunghi e animati anche su questo argomento. Si disse che l’isolamento all’interno del Collegio equivaleva a una pena di allontanamento e che quindi si sarebbe dovuto permettere ai vecchi di prendere le loro ultime boccate d’aria, al di fuori, nel vasto mondo. Si decise infine che uomini e dorme dovevano essere portati nel Collegio a sessantasette anni e che prima del loro sessantottesimo compleanno avrebbero dovuto dipartire”. Poi risuonarono le campane e l’intera comunità si rallegrò, vi furono banchetti e i giovani, uomini e dorme, si chiamarono l’un l’altro “fratello” e “sorella” e si sentì che fra di loro era stata inaugurata “una grande riforma per il beneficio dell’umanità”.

 

Si erano dati un gran da fare sulla questione della cremazione e avevano fatto arrivare dall’Europa e dagli Stati Uniti tutta la migliore attrezzatura. Quattro enormi suini avevano testato il sistema e li avevo fatti ingrassare a tal fine. “Anche se i vecchi non sono di solito molto corpulenti”, si lamenta Neverbend.

 

E come chiamare il luogo della dipartita? Sorse una discussione anche su questo. “Il luogo veniva chiamato Necropoli. Il nome non mi era mai piaciuto perché non avevo mai voluto associarlo con il sentimento della morte. Erano stati proposti vari nomi. Il giovane Grundle aveva suggerito Sala della Cremazione perché tale era la fine ultima alla quale i gusci dei cittadini erano destinati. Ma vi era qualcosa di non dignitoso nel suono, come se parlassimo di una sala da ballo o da musica, ed io non ne avevo voluto sapere. Necropoli suonava meglio, dissero, e sostennero che sebbene lì non vi sarebbero state le spoglie effettive, sarebbero rimaste le lapidi”. Così la si chiamò, Necropoli. Dai cancelli fino al “tempio” che stava in mezzo ai campi, quel tempio in cui si sarebbe svolta l’ultima scena della vita, correva un ampio sentiero di ghiaia che sarebbe dovuto diventare un bel viale. Vi erano stati piantati eucalipti e lecci, gli alberi della gomma per la generazione attuale e le querce verdi per quelle a venire. Alcuni avevano chiesto che venissero piantati cedri. Doveva essere un luogo ameno. Neverbend alla fine viene sconfitto, ma è sicuro che l’idea del “Periodo Fisso” sarà raccolta dalle generazioni future. Forse aveva visto giusto.

 

In Spagna la pandemia ha causato la morte di almeno 1.065 anziani ricoverati in case di cura di Madrid.

 

Monte Hermoso, nella capitale spagnola, è la casa di cura epicentro della pandemia. “Il nome di Monte Hermoso, un centro privato con 130 posti a Madrid, si riferisce a una collina idilliaca da cui contemplare il mondo durante gli ultimi anni di vita”, scrive El Pais. “Ma la residenza è diventata un luogo di morte. Le celle frigorifere nella casa di cura occupano il seminterrato. Gli assistenti introducono lì i corpi. Ore dopo, appare un furgone nero senza finestrini. Il nome è stampato sui lati. Di solito è un riferimento all’aldilà o un passaggio della Bibbia. L’auto entra nel seminterrato tramite una rampa. Attraverso la porta posteriore tirano fuori il corpo in una sacca, senza fare molto rumore e senza essere visti dagli altri ospiti, impegnati a giocare a bingo o ad ascoltare i ragazzi del coro che li intrattengono nel pomeriggio. I corpi di dieci anziani stanno aspettando al piano terra. Il virus è penetrato in questo edificio per compiere un massacro silenzioso e implacabile. La residenza ha visto morire almeno 25 residenti da quando è scoppiata la pandemia. E’ il più grande focolaio di morte in tutta la Spagna”.

 


Dalla Spagna all’Italia, le case di riposo per anziani sono diventate la topografia del terrore di questa pandemia da coronavirus. “Fino al ‘tempio’ in cui si sarebbe svolta l’ultima scena della vita correva un sentiero di ghiaia, un gran bel viale”


  

Gli anziani stanno morendo a un ritmo così sostenuto che nelle case di cura di Madrid l’esercito ne ha trovati molti già morti ancora nei propri letti. Le infermiere se ne erano andate. La Spagna ha appena dovuto rimandare una legge sull’eutanasia che stava per approvare e che i critici, forzando i toni, avevano definito “una soluzione finale per risparmiare sulle pensioni”. Le case di riposo in tutto il mondo sono una nuova topografia del terrore. “Il nuovo focolaio di coronavirus si sta diffondendo nelle case di riposo per anziani, con decine di casi in strutture negli Stati Uniti, dall’Illinois all’Oregon e al Wyoming, dopo l’epidemia in una casa di cura nella zona di Seattle” scriveva il Wall Street Journal questa settimana. Circa la metà dei circa 150 decessi negli Stati Uniti da Covid-19 sono stati nello stato di Washington, dove l’epicentro sono le case di cura. In Italia non si contano le case di cura decimate dall’epidemia.

 

In un ospizio di Mediglia, gli anziani uccisi dal virus sono già 52. E’ di 32 il numero dei morti nella casa di riposo di Quinzano d’Oglio nel bresciano. Di 43 è il bilancio delle vittime nella Residenza Santa Chiara nel lodigiano. E negli ospedali è da tempo iniziata una “selezione” di chi salvare. “I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono in solitudine senza neanche il conforto di appropriate cure palliative”, recita la lettera dei medici di Bergamo pubblicata dal New England Journal of Medicine. Joacim Rocklöv, professore di epidemiologia a Umeå, ha così criticato l’approccio svedese di tenere aperto: “Quante vite sono disposti a sacrificare per non rischiare un maggiore impatto sull’economia?”. “Razionalizzare le cure è una resa alla morte”, scriveva sul Wall Street Journal di ieri Allen Guelzo di Princeton a proposito delle scelte mediche in corse sotto pandemia. E fa l’esempio di Ezekiel Emanuel, oggi consigliere di Joe Biden sul coronavirus, per il quale 75 anni è abbastanza per vivere. Successivamente, le persone diventano “deboli, persino patetiche”, come pensava Neverbend.

 

Non siamo nel romanzo di Anthony Trollope. Non li uccidiamo per legge gli anziani. Ma una società che non è stata in grado di proteggere i propri vecchi, a migliaia già e chissà quanti ancora, una che ha “razionalizzato la morte”, non ha forse assimilato l’idea di un “termine fisso”, una età, una condizione fisica, una malattia, oltre la quale la vita non appare più degna di essere non solo vissuta, ma difesa?

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.