(foto LaPresse)

"Riaprire subito o rischiamo di non ripartire più". L'allarme delle imprese del nord

Luca Roberto

Confindustria Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte chiedono al governo di accelerare sulla "fase 2". "La salute è la priorità, ma la crisi economica rischia di spegnere il nostro motore"

Riaprire al più presto possibile, garantendo la sicurezza dei lavoratori, perché ogni giorno in più di lockdown è potenzialmente letale per l’economia italiana. E’ quanto chiedono, in una agenda rilasciata quest’oggi Confindustria Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, che sollecitano una “fase 2” da articolare attraverso una riapertura ordinata e per tappe.

 

Il documento arriva alla vigilia della decisione del governo che, non più tardi di sabato, deciderà se estendere o allentare le misure introdotte per limitare la diffusione del contagio da nuovo coronavirus, e che per ora sono previste in vigore fino al 13 aprile. “Se le quattro principali regioni del nord che rappresentano il 45 per cento del pil italiano non riusciranno a ripartire nel breve periodo il paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia”, si legge nel documento. “Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre, perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese”.

 

La prossima fase, secondo le articolazioni territoriali di Confindustria, deve essere quella del confronto tra decisori pubblici, associazioni di rappresentanza degli interessi, sindacati e aziende sanitarie locali, che stabilisca una road map condivisa per uscire gradualmente dalla serrata. Se la priorità individuata dalle imprese resta quella di garantire la salute dei propri dipendenti, ecco che “chi non è in grado di assicurare la sicurezza necessaria nei luoghi di lavoro non può aprire”. A tutte le altre, invece, viene demandata l’osservanza rigorosa del “protocollo di regolamentazione” sottoscritto specificamente per il contrasto alla diffusione del Covid-19: quello in cui si prevede, cioè, che siano le stesse imprese a incaricarsi dello screening termico dei propri dipendenti, del loro distanziamento nell’attività lavorativa, e della dotazione di dispositivi di sicurezza. A questo proposito, l’agenda chiede al governo che l’Istituto superiore di sanità velocizzi l’iter per la concessione delle autorizzazioni all’utilizzo dei dispositivi in deroga rispetto alle normative sanitarie. Così come lo stanziamento di risorse a fondo perduto che supportino le imprese nelle attività di sanificazione degli ambienti di lavoro, per la modifica della mobilità nei siti produttivi, e per incentivare il ricorso allo smart working. Dal fronte sanitario, si richiede l'utilizzo dei test sierologici e una estensiva politica dei tamponi, che possa monitorare più attentamente la diffusione differenziata del virus sul territorio nazionale.

 

Occorre poi, secondo le associazioni di categoria, “uscire dalla logica dei codici Ateco (che identificato le attività che possono rimanere aperte e quelle no,ndr), delle deroghe e delle filiere essenziali a partire dall’industria manifatturiera e dai cantieri. È una logica non più sostenibile e non corretta rispetto agli obiettivi di sanità pubblica e di sostenibilità economica”.

Di più su questi argomenti: