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Reddito di cittadinanza? No. Ecco le politiche del lavoro che servono

Daniele Bonecchi

Pietro Ichino spiega perché anche a Milano è difficile incrociare domanda e offerta. Regione, legislazione, ruolo dei privati

La pianura padana non è la Mancia di Miguel de Cervantes ma con un discreto impegno immaginifico il Pd regionale ha trovato i suoi mulini a vento da combattere: i navigator. “La Regione Lombardia è in ritardo sull’assunzione dei 720 nuovi addetti dei centri per l’impiego”, denuncia il Pd lombardo. L’unica cosa che i navigator finora hanno potuto fare – laddove sono in effetti partiti con le attività – è stato aiutare gli impiegati dei centri per l’impiego a fissare i colloqui e a svolgere gli incontri. In Lombardia sono state accolte circa 37 mila richieste: la metà di quelle pervenute. Risultati modesti. “Non sia una misura assistenziale”, ha ammonito Attilio Fontana, durante l’incontro coi primi navigator selezionati dalla Regione. Insoddisfazione generale, dunque, ma il Rdc, corredato dall’assunzione dei navigator, è in qualche modo emendabile per adattarlo meglio alle esigenze del mercato del lavoro?

 

Il Foglio lo ha chiesto al giuslavorista Pietro Ichino, già senatore Pd, che ha avuto parte anche nella stesura del Jobs Act. “Il primo emendamento che proporrei sarebbe uno che riducesse drasticamente la qualificazione del Rdc come misura di ‘politica del lavoro’. E’ un errore grave, dal momento che nella platea dei fruitori di questa forma di assistenza non sono più di un quarto quelli che hanno possibilità effettive di inserimento o reinserimento nel tessuto produttivo. La torsione del Rdc in senso lavoristico è stata voluta soltanto per ragioni mediatiche, per mandare un po’ di fumo negli occhi dei contribuenti ai quali si stavano spillando sette miliardi per questa misura”. Sentenza definitiva quella di Ichino che, in una nota piuttosto allarmata del suo blog mette in luce le anomalie di una mancata liaison col mondo del lavoro: “Nella mia città, Milano, per ogni 100 disoccupati ci sono 82,4 posti di lavoro da tempo scoperti per mancanza di persone in grado di ricoprirli. In tutta Italia le cosiddette situazioni di skill shortage sono 1,2 milioni: basterebbero per risolvere tutti e 160 i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo e ancora ne avanzerebbe più del 90 per cento. Sono distribuiti in tutti i settori e a tutti i livelli professionali. Per fare soltanto qualche esempio tra i molti, cercano operai e non ne trovano i carrozzieri, i pasticceri, i supermercati per i reparti macelleria, le botteghe artigiane di tutti i settori. Più in su, c’è gran penuria diplomati di ITS (Istituti tecnici superiori), di informatici, di medici, di infermieri, di ingegneri, e l’elenco continua ancora a lungo”. Dunque siamo all’anno zero? “L’esperienza dei paesi più avanzati dice che la persona cui si eroga un trattamento di disoccupazione, sia esso a carattere assistenziale o assicurativo, deve essere presa in carico da una persona che la segue giorno per giorno, incoraggiandola, consigliandola e al tempo stesso verificandone la disponibilità al lavoro e l’impegno nella ricerca. Poi, per aiutare il disoccupato nel labirinto complicato e imperscrutabile del mercato del lavoro, occorre un buon servizio di orientamento professionale (guidance service), che nei paesi dove funziona è svolto da una figura, il job advisor, dotata di una robusta preparazione professionale, con due o tre anni di formazione post laurea”, spiega Ichino. Non è proprio quello che dovrebbero fare i navigator? “Ma le sembra che – tranne rare eccezioni – i navigator abbiano quella robusta preparazione specifica? Per formare lo staff di job advisor  occorrerebbe che ciascuno di questi seguisse un percorso non breve di formazione specifica, comprensivo di uno stage di qualche mese nel nord Europa in affiancamento a chi sa fare per davvero questo mestiere e lo esercita da anni”. 

 

Torniamo in casa nostra. La Regione, da anni, lavora ad un modello che sembra aver prodotto risultati utili. Il modello Lombardia per la formazione e il collocamento è valido ed esportabile? “In Lombardia si sono fatte alcune cose buone, tra le quali la Dote Unica Lavoro, che si colloca nella stessa logica dell’“assegno di ricollocazione” introdotto dal Jobs Act e poi massacrato dal ministro Di Maio. E ha dato dei risultati discreti. Però l’attività dei Centri per l’impiego in Lombardia è ancora quasi esclusivamente burocratica: non sono capaci di mediare tra domanda e offerta, e neppure di interfacciarsi strettamente con la formazione professionale. Quanto a quest’ultima, i tassi medi di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi in Lombardia, pur non essendo infimi, restano tuttavia ancora largamente sotto il 50 per cento. Il modello a cui dovremmo guardare, se vogliamo restare a sud delle Alpi, è semmai quello dei servizi per il mercato del lavoro delle province di Bolzano e di Trento”. Milano può attingere dal patrimonio delle aziende private per costruire un percorso formazione-collocamento utile? “A Milano hanno il proprio headquarter tutte le maggiori agenzie private di servizi al mercato del lavoro; tuttavia fanno un mestiere in larga parte diverso da quello del collocamento pubblico”, precisa Ichino. “La loro presenza può comunque essere molto utile, consentendo all’amministrazione pubblica che volesse realizzare un servizio integrato di collocamento e formazione di attingere da quelle agenzie personale molto qualificato. Inoltre, con il sistema dei voucher erogati dall’amministrazione pubblica per finanziare la fruizione da parte delle persone di servizi erogati da privati, si può stabilire una sinergia molto fruttuosa tra l’una e gli altri. Su questo terreno Milano, intesa come Città Metropolitana, potrebbe fare molto di più. Soprattutto se riuscisse a mettere in stretta comunicazione tra loro in seno alla sua agenzia del lavoro – l’Afol – i servizi di collocamento e i servizi di formazione professionale”.

 

Per ora resta un auspicio. Ichino, nella sua newsletter lo disegna così: “Un luogo dove ciascuno di loro (i giovani, ndr) possa trovare chi lo informa su quegli enormi giacimenti occupazionali inutilizzati e sui percorsi formativi che possono darvi accesso. Sogno quel luogo: un grande salone a un passo dal Duomo, dentro City Life, a piazza Gae Aulenti, in cui ogni persona possa trovare un vero esperto capace di dare le informazioni indispensabili per affrontare il labirinto del mercato del lavoro, delle sue opportunità e dei servizi necessari per accedervi”.