Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (foto LaPresse)

La Nadef è debole, all'Italia serve una grande manovra-choc. Proposte

Paolo Cirino Pomicino

L’unica piccola misura espansiva sta nell’aumento dei salari dei lavoratori dipendenti a partire dal prossimo luglio con la riduzione del cuneo fiscale per 2,5 miliardi

Al direttore - La nota di aggiornamento approvata lunedì dal Consiglio dei ministri è talmente debole nella sua struttura complessiva che viene da pensare, conoscendo il valore di Roberto Gualtieri, che la vera manovra sarà fatta dopo la legge finanziaria. Quest’ultima, infatti, potrebbe essere la chiusura del bilancio preventivo del 2020 entro i parametri concordati anche con la Commissione europea mentre la vera manovra espansiva e anticiclica verrebbe rinviata a febbraio. La nostra interpretazione nasce da una banale constatazione.

 

L’unica piccola misura espansiva sta nell’aumento dei salari dei lavoratori dipendenti a partire dal prossimo luglio con la riduzione del cuneo fiscale per 2,5 miliardi. Un aumento piuttosto modesto che certo non potrà rilanciare la domanda interna che da tempo langue perché per anni si è ridotto il potere di acquisto degli italiani, si è ridotta l’occupazione nel senso delle ore lavorate e si sta consolidando un impressionante aumento della cassa integrazione che produce incertezza e quindi scarsa propensione al consumo. Ma c’è di più. Questa misura, riguardando solo i lavoratori e non le imprese, lascia immutato l’alto costo del lavoro che accanto alla modesta previsione degli investimenti pubblici e privati non rilancia né la produttività né la crescita. Per recuperare competitività, le imprese non possono allora che tenere compressi i salari, che non a caso sono di gran lunga inferiori a quelli tedeschi e francesi. E così il cerchio si chiude, continuando ancora una volta a tenere il paese a uno degli ultimi posti dell’Unione europea per tasso di crescita.

 

Già alcune settimane or sono da queste colonne dicemmo che il rischio da evitare sarebbe stato quello di una finanziaria che ricalcasse il vecchio modello che con un po’ di deficit in più, qualche taglietto qua e là, un’impropria quantificazione della lotta all’evasione fiscale, chiudesse il cerchio di una legge di Bilancio sostanzialmente neutra rispetto alle esigenze del paese (le tradizionali buone pratiche impedirebbero peraltro la quantificazione e più ancora l’utilizzo per forme di copertura, del gettito della lotta all’evasione fiscale). Tutto ciò che diciamo peraltro è confermato dalle previsioni di crescita dello stesso governo che prevede un aumento del pil di 0,6-1,1 punti percentuali nei prossimi tre anni, previsioni che sono, tra l’altro, anche generose visto che per il 2020 la Germania crescerà solo dello 0,8 per cento. In ordine poi a deficit e debito è bene chiarire una volta per tutte che non è l’Europa a bloccare il nostro deficit annuale ma il livello del nostro debito, che ci fa pagare tra i 65-70 miliardi di euro di interessi sottraendo così un’ingente massa di risorse allo sviluppo e alla stabilità del sistema sanitario e scolastico. Noi non apparteniamo ai critici permanenti, ma la nostra formazione ci costringe, quando facciamo una critica, di indicare una linea alternativa. Da tempo noi sosteniamo che per rompere questo stanco rituale di leggi di Bilancio modeste e ripetitive c’è bisogno di una manovra di finanza straordinaria che dia uno choc al bilancio dello stato con ingenti entrate straordinarie capaci di innescare un circolo virtuoso di riduzione del debito e di finanziamenti allo sviluppo e alla manutenzione del paese.

 

Per far questo, a mo’ di esempio, bisogna chiedere ai fondi pensione e alle casse previdenziali che hanno un patrimonio di oltre 200 miliardi di euro e che reinvestono ogni anno tra i 100 e i 120 miliardi di impegnare per 5 anni il 20 per cento dei propri investimenti per acquistare immobili statali o utilizzati dalla Pubblica amministrazione o comunque messi a reddito in maniera da avere 100 miliardi in 5 anni che al sesto anno metterebbero sui conti pubblici una spesa corrente di 3-4 miliardi, lasciando così che gli oneri di locazione per i primi cinque anni siano posti sulle spalle del ricavato dalla vendita. Tutto questo, preso singolarmente, non garantirebbe quell’innesco del circuito virtuoso di cui abbiamo parlato e pertanto bisognerebbe discutere anche con la ricchezza nazionale di come raddrizzare le sorti del paese lasciando da parte ogni ipotesi di patrimoniale che sarebbe fortemente recessiva. La ricchezza nazionale sa che concorrendo a salvare il paese salverebbe anche se stessa in un rapporto dialogante con il governo e con il Parlamento. Dettagliare su questo aspetto sarebbe improprio in questa sede, ma una politica con la “P” maiuscola conosce bene la strada per spingere tutti a uno sforzo comune e quando questo dovesse avvenire nessuno di noi mancherebbe di concorrere con idee e proposte. Certo, ci saranno altre idee in giro ma dovranno avere lo stesso impatto choccante sulla finanza pubblica e sugli investimenti pubblici e privati. Fuori da queste linee, infatti, l’Italia continuerebbe ad avere quel triste destino iniziato nel 1995, quando cominciò a essere la cenerentola d’Europa per tasso di crescita e di produttività. La speranza è che questo governo che annovera personalità di rilievo, a cominciare da Roberto Gualtieri, riscopra il coraggio di guidare la società italiana e non di inseguirla come avviene da oltre venti anni.

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