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Propaganda per sbloccare l'impasse che il governo crea a se stesso

Renzo Rosati

Commissari per Fs e Anas (appena divise), dissidi sulle opere da realizzare, e ammuina. Intanto Fitch taglia le stime del pil

Roma. #Sbloccacantieri, con tanto di hashtag: che suona poi come #spazzacorrotti. Un conto però è la propaganda onirico-etica (“onestà, onestà”) by Rocco Casalino, altra cosa è la realtà concreta. La realtà è che l’agenzia Fitch ha abbattuto le stime di crescita per il 2019 allo 0,1 per cento dall’1,1 precedente. Mentre le opere bloccate sono centinaia secondo l’anagrafe dell’Ance che sul suo sito si chiama, appunto, sbloccacantieri.it. Ben diverso è il decreto che il governo aveva promesso di approvare, e che è stato subito oggetto di contrasti tra M5s e la Lega, insoddisfatta perché i cantieri da sbloccare sono, per Matteo Salvini, “pochi al nord e troppi non strategici”. Ma alla fine che cosa potrà sbloccare lo #sbloccacantieri?

   

Gli amministratori delegati o i presidenti di Ferrovie e Anas, maggiori stazioni appaltanti del paese e prime nomine gialloverdi “del cambiamento”, si dovrebbero trasformare in super-commissari per opere già previste nei rispettivi contratti di programma. Dunque saranno commissari di loro stessi per appalti rispettivamente di 15 e 21 miliardi di euro. Soldi già stanziati nei piani industriali di Fs e Anas, e vittime in parte dei ribaltoni, in parte dei tagli introdotti dalla legge di Bilancio (meno 2,2 miliardi per Fs, meno 0,538 per Anas), in parte ancora dell’ossessione by Danilo Toninelli e del M5s per i costi-benefici: della quale la Tav è solo il simbolo.

  

L’idea è dunque di sbloccare il blocco creato dallo stesso governo. Sempre che non prevalga la linea di Luigi Di Maio di nominare un super-commissario per ogni singolo cantiere: dopo i “navigator” per il lavoro avremo così centinaia di “special commissioner” per le opere pubbliche. Salvini, alle prese con lo scontento del nord, entrando nella prima riunione del Consiglio dei ministri si è ricordato di un settore privato che potrebbe ripartire anche subito: “Non bastano gli appalti pubblici, bisogna lasciar lavorare l’edilizia privata, le manutenzioni, le messe a norma, altrimenti è tutto inutile”. Ciò che l’Ance e i comuni dicono da mesi, inascoltati. Ma ci sono le elezioni, e dunque come per l’autostrada Asti-Cuneo che finisce in un prato, ecco le grandi scoperte e le grandi promesse. Il timore è che si ripetano le mosse e le ammuine del ponte Morandi. Dopo il crollo del 14 agosto 2018 e la passerella governativa ai funerali, i vari “lo rifacciamo in cinque mesi”, poi “in dodici mesi”, “pronto a fine 2019”, “ad agosto 2020”, la realtà è questa: il decreto Genova è divenuto legge il 14 novembre, i piloni vengono (lentamente) abbattuti, l’11 marzo Giuseppe Conte e Toninelli hanno partecipato al “taglio delle prima lamiera del nuovo ponte”. Tutto va a rilento ma si “inaugurano” pezzi di nuovo ponte. Intanto anche la Tav è ferma. Ferme pure l’alta velocità Brescia-Verona, le pedemontane veneta e lombarda, la quarta gronda genovese e altre 25 infrastrutture di primo livello per 36 miliardi tenute in ostaggio dai veti di governo; tutto elencato nell’anagrafe dello “sblocca cantieri” – quello serio – dell’Ance. Elenco arrivato a 400 opere, comprese le manutenzioni di scuole e ospedali, gli investimenti di regioni e comuni che avrebbero i soldi in cassa, tutte cose delle quali si nutre la retorica della cittadinanza, salvo smentirsi nella pratica. Altri esempi? Nel decreto discusso ieri si parla di accelerare la ricostruzione nelle zone sismiche ma resta al palo un altro decreto-terremoto; entrano ed escono condoni per mini-irregolarità prima del 1977 (Ischia fa scuola, in salsa leghista); mancano ancora le gare di tipo europeo chieste da costruttori, sindacati e Anac, il che perpetua la frammentazione in micro-lotti e massimi ribassi a beneficio dei poteri locali. Non c’è soprattutto una definizione di ciò che è prioritario per l’economia connessa all’Europa. Sbloccare tutto per non sbloccare nulla.