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Le province svelano il grande bluff dietro lo sblocca-cantieri

Valerio Valentini

De Pascale, presidente di Upi: “Da sei mesi il nostro screening sulle opere da rilanciare è lettera morta. Servono finanziamenti”

Roma. L’estasi per le emergenze, vere e presunte; la fregola degli annunci, un hype degno delle migliori aziende di marketing. E dietro, nulla. “E’ successo col decreto Genova, e rischia di succedere anche ora con lo sblocca-cantieri”, dice Michele De Pascale, sindaco di Ravenna e presidente dell’Unione delle province italiane. Anche allora, come pure ieri, il decreto tanto atteso venne approvato “salvo intese”: scappatoia giuridica che permette di modificare, anche sensibilmente, il testo licenziato dal Cdm. “Dopo la tragedia del ponte Morandi, il ministro Toninelli ci chiese di stilare subito un elenco delle opere da ristrutturare. Era agosto”. Che ne è stato, di quel monitoraggio? “Lettera morta. E dire che se si volesse cominciare a sbloccare i cantiere, si potrebbe partire proprio da lì”. Erano passate quarantotto ore appena, dal crollo del viadotto Polcevera, e Toninelli fu categorico: pretese dagli enti locali un censimento delle infrastrutture a rischio entro il primo settembre. Quindici giorni. “Era un lavoro immane, visto che riguardo sia le opere di diretta competenza delle province – racconta De Pascale, trentaquattrenne amministratore del Pd – sia quelle che ricadevano sotto il controllo dei comuni”. Anche per questo i sindaci chiesero una proroga. Ma al ministero di Porta Pia furono irremovibili. E si arrivò così a stilare, in due settimane, un elenco di 14 mila manufatti. “Eravamo molto scettici sul metodo scelto, ma ci adeguammo. E a settembre la ricognizione completa arrivò sulla scrivania del ministro”. Cosa ne è stato?

 

 

“E’ arrivata una congerie enorme di roba in modo disordinato e non armonico. Gli uffici stanno scremando e sistematizzando”, spiegano dallo staff di Toninelli. Dove confermano che in effetti sì, “ci sarebbero molti cantieri da sbloccare, in quell’elenco”. E però si scelgono altre vie, a quanto pare, e neppure troppo logiche. Venerdì, al tavolo convocato a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte, insieme a Toninelli e Luigi Di Maio, le province non risultavano neppure invitate, sulle prime. “Disguido comunicativo su cui poi si è rimediato, nulla più”, minimizza De Pascale. Che invece si concentra sul merito delle proposte discusse: “Si era pensato alle commissioni itineranti. Dirigenti di comuni del nord mandati a controllare le gare al sud, e viceversa, tutti scelti da un albo nazionale dell’Anac. Una follia che, per fortuna, pare sia stata messa da parte”. Si ragiona allora del ripristino del massimo ribasso per gli affidamenti sotto la soglia europea dei 5 milioni, su cui però il M5s è scettico. “Anche quello è un rischio”, riflette De Pascale. “Se ci si basa sul massimo ribasso e non ci si accerta che chi vince a condizioni proibitive sia poi davvero in grado di completare i lavori, i cantieri finiscono per restare paralizzati, e lo sblocco è solo apparente”. E allora, la soluzione di compromesso potrebbe essere, come spiega il grillino Stefano Patuanelli, “una revisione chirurgica dell’articolo 97 del Codice degli appalti”, quello sulle offerte anormalmente basse. Si tratterebbe, cioè, di porre un limite ai ribassi possibili per le varie gare facendo riferimento a un algoritmo elaborato ad hoc, con controlli a campione sul 30 per cento delle imprese partecipanti oltre a quella vincitrice. Un alambicco che potrebbe finire per essere più contorto delle storture già esistenti. “Qualsiasi superamento delle rigidità normative, è benedetto”, dice De Pascale. “Ma il punto è un altro: non basta semplificare, per rilanciare i cantieri. Bisogna, innanzitutto, finanziare i lavori. Nel nostro monitoraggio c’erano opere che richiedevano quasi 3 miliardi di fabbisogno. Al momento, i finanziamenti arrivati, sono pari a zero”.