Luigi Di Maio alla presentazione del sito web e della prima card per il reddito di cittadinanza (foto LaPresse)

Il leghista Brambilla smonta il reddito di cittadinanza grillino

Giuliano Cazzola

Secondo un rapporto del Centro studi dell'ex sottosegretario del Carroccio, la misura del M5s rischia di fallire i suoi obiettivi e aumentare la propensione dei beneficiari ad utilizzare in modo opportunistico le risorse disponibili

Alberto Brambilla colpisce ancora. Dopo aver demolito il Capo II del decreto n.4/2019 riguardante “quota 100” e dintorni, un nota dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e le entrate (a cura di Itinerari previdenziali) affronta il tema del reddito di cittadinanza (Capo I). Compiuto un esame accurato di tutti gli aspetti del provvedimento, il documento (redatto da Brambilla, in collaborazione con Natale Forlani, Gianni Geroldi e Claudio Negro) arriva a concludere che esistono reali motivi per ritenere che il programma Rdc, fondato sull’ampliamento dei sussidi e e il rafforzamento delle politiche attive del lavoro, sia destinato a ridimensionare il raggio di azione per la sproporzione tra i costi effettivi e la dotazione finanziaria prevista. Inoltre, il dispositivo di legge rischia di fallire nell’obiettivo di contrastare le dimensioni della povertà assoluta in Italia ma, soprattutto, nell’intenzione di attivare un sistema funzionante di inserimento/reinserimento lavorativo. L’ampliamento dei sussidi aumenterà la propensione dei beneficiari ad utilizzare in modo opportunistico le risorse disponibili.

 

Come si arriva ad un giudizio così drastico? In primo luogo vengono definite le caratteristiche diversificate (di cui il decreto non tiene conto) della platea dei possibili assistiti sulla base di una disaggregazione effettuata dall’Anpal per età e condizione occupazionale. Poco più di un milione sono minori, 1,3 milioni sono occupati con bassi salari o redditi e 1,4 milioni sono persone in età da lavoro realisticamente riattivabili. Un aspetto singolare, colpevolmente trascurato nelle analisi (per ragioni politiche?), è l’incidenza degli immigrati in condizioni di povertà assoluta (circa 1,6 milioni di persone secondo l’Istat), con un peso rilevantissimo sul totale dei potenziali percettori nelle aree del Nord Italia (oltre il 40% dei possibili beneficiari). Il decreto cerca in modo surrettizio, e a forte rischio di illegittimità, di ridurne l’incidenza introducendo il vincolo della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, per tutti i richiedenti (italiani compresi). Tale aspetto potrebbe avere conseguenze finanziarie non marginali per la gestione dell’intervento, se la magistratura sulla base di sentenze già consolidate della Corte Costituzionale provvedesse ad estendere i benefici a tutti gli immigrati regolarmente residenti. In tal caso, le risorse disponibili stimate in sede di decretazione potrebbero rivelarsi inadeguate, con la conseguente necessità di ridefinire la platea dei percettori o l’ammontare medio dei benefici.

 

Di fronte a un potenziale di 1,4 milioni di persone attivabili al lavoro attraverso il Rdc – su un complesso di quasi 2,8 milioni di persone in cerca di lavoro, 2,3 milioni di giovani che non studiano e non lavorano, un milione di studenti potenzialmente coinvolgibili nei programmi di alternanza scuola-lavoro, circa 800 mila over 55 che hanno perso il lavoro e oltre un milione di donne in difficoltà nel conciliare i carichi familiari con quelli lavorativi – non si comprende, prosegue la nota, perché tutte le attenzioni e le risorse delle politiche attive del lavoro debbano essere concentrate su una fascia di interventi che richiede approcci peculiari per un’offerta di lavoro caratterizzata da forte disagio sociale.

 

In sostanza, il profilo del povero non è lo stesso del disoccupato temporaneo. La struttura degli incentivi per le imprese che assumono i percettori del Rdc, poi, è ritenuta assurda. Il valore dell’incentivazione per le assunzioni, essendo legato al residuo del sussidio non usufruito nel limite dei 18 mesi per un valore connesso alla integrazione del reddito familiare, non ha nessun effetto attrattivo per le aziende. Inoltre, la possibilità di usufruire degli incerti incentivi viene rigorosamente ancorata, dal decreto, alle assunzioni a tempo indeterminato; e cioè scartando oltre l’80 per cento delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro che sono a termine, stagionali o interinali. Forme di impiego considerate le sole realisticamente utilizzabili per attivare persone già penalizzate dalla condizione di bassa occupabilità e di scarsa appetibilità per le imprese.

 

L’importo del reddito di cittadinanza indurrebbe, poi, gli interessati a rifiutare i lavori “poveri” e scoraggerebbe gli occupati a part time ad attivarsi nella ricerca di lavori a tempo pieno. Un altro aspetto particolarmente irragionevole – secondo la nota – è la previsione di una pena dai 2 ai 6 anni di carcere per le dichiarazioni mendaci, in buona parte collegabili alle omissioni degli introiti derivanti da prestazioni sommerse, dimenticando che per questo tipo di violazioni sono perseguibili i datori di lavoro e non i lavoratori. Il tutto, ovviamente, in assenza di anagrafi e banche dati che consentano di verificare a monte la correttezza delle dichiarazioni Isee, e che diano evidenza delle prestazioni assistenziali che le varie amministrazioni già erogano ai beneficiari. In tali condizioni l’Inps, entro i 5 giorni prescritti, non potrà fare altro che prendere in considerazione le dichiarazioni Isee autocertificate dei richiedenti.

 

Per ultime alcune considerazioni sulle cosiddette pensioni di cittadinanza. Si tratta di portare le pensioni basse (in genere di chi non ha mai pagato né imposte né contributi) a 780 euro netti al mese per 12 mensilità, che è più di quanto guadagnano tanti giovani e molte donne e, in termini di prestazione previdenziale, rappresenta un importo pari o superiore a quello che oggi ricevono tanti artigiani, commercianti, donne e operai che hanno versato contributi e imposte per lunghi periodi. Chi mai verserebbe ancora contributi – si chiede l’Osservatori - sapendo che, pur evadendo o rimanendo sul divano, potrebbe contare su una pensione da 780 euro, un affitto sociale, qualche sconto sui mezzi e altri servizi sociali?