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Così il leghista Brambilla bombarda (ancora) la quota cento salviana

Mariarosaria Marchesano

La riforma delle pensioni voluta dalla Lega si traduce in una misura “costosa e iniqua”. Ma quando i soldi termineranno si tornerà alla legge Fornero 

Milano. Sedicimila domande per andare in pensione con quota cento nei primi tre giorni dall’entrata in vigore della misura, rappresentano per Alberto Brambilla, che è consigliere economico di Palazzo Chigi ma da qualche tempo non nasconde la sua visione critica dei provvedimenti contenuti nella legge di Stabilità, un numero “molto rilevante” che genera almeno due rischi.

  

Il primo è che, di questo passo, si raggiunga prima dei tre anni il tetto di 315 mila richieste che assorbono il massimo della copertura finanziaria prevista e, dunque, che le risorse stanziate non siano sufficienti. Il secondo è che il sovraccarico di lavoro mandi in tilt l’Inps che non è attrezzato a farvi fronte con l’effetto di generare disservizi anche sulle altre prestazioni erogate ai all’universo dei lavoratori. Brambilla, intervenuto a una tavola rotonda tra economisti e giuslavoristi promossa dalla Adam Smith Society, ammette di avere condiviso l’intento iniziale del governo (l’economista è considerato vicino alla Lega) di inserire qualche elemento di flessibilità nel sistema pensionistico reso troppo severo dalla legge Fornero, ma i provvedimenti emessi presentano “eletti critici tali da richiedere urgenti correzioni in sede di conversione in legge e attraverso i decreti attuativi”. Il costo complessivo stimato per quota cento da Itinerari previdenziali, il centro ricerche presieduto dallo stesso Brambilla, è all’incirca di 40 miliardi, ma “se il ritmo delle domande va avanti di questo passo anche questa previsione è sottostimata in riferimento ai tre anni”.

  

   

  

  

Insomma, per l’economista la riforma delle pensioni voluta dalla Lega si tradurrebbe in una misura “costosa e iniqua” pur avendone condiviso lo spirito che l’ha fatta nascere. Da tutto questo emerge il sospetto che il governo gialloverde abbia trasformato quota cento in una finestra a tempo aperta sul popolo degli elettori – in vista del voto europeo – con attaccato un rubinetto. Quando i soldi termineranno il rubinetto si chiude e si torna alla legge Fornero che come conferma Brambilla “non è stata modificata di un millimetro”.

   

E proprio questa incertezza – che peraltro fa a pugni con il concetto stesso di previdenza e con i principi di certezza del diritto – starebbe in questa fase spingendo i Caf a fare pressione sulle persone per presentare la domanda prima che sia troppo tardi. Insomma, una corsa contro il tempo per ottenere un beneficio che domani potrebbe non esserci.

  

Ma c’è un’altra considerazione che Brambilla ricorda e cioè che al momento non esiste alcuna evidenza – come invece si fa credere – che all’uscita dal mondo del lavoro di un certo numero di persone corrisponda l’ingresso di un numero uguale, o anche inferiore, di disoccupati. In pratica non esisterebbe nessuna staffetta generazionale, non c’è nessun tasso di sostituzione, almeno non in una prima fase, “creando uno squilibrio tra pensionati e popolazione attiva”. E così i primi rischiano di essere più numerosi dei secondi.

   

“In un momento in cui siamo ultimi in tutte le classifiche sul lavoro in Europa, soprattutto per donne e giovani, ci posizioniamo a metà della graduatoria relativa al tasso di occupazione degli over 55. Ma questo deriva dal fatto che il nostro paese non ha un piano per il lavoro con un orizzonte almeno di cinque anni. Siamo in perenne campagna elettorale e questo va avanti almeno da sei governi”, dice Brambilla.

      

Una visione più che critica per il consigliere economico del governo che parla con la consapevolezza di chi sta esprimendo considerazioni molto pungenti per chi è nella sua posizione: “Sto cercando di spiegarle in tutti i modi queste cose e di contribuire a correggere le distorsioni dei provvedimenti – conclude Brambilla – ma so molto bene che dicendo queste cose posso essere licenziato”.

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