Foto LaPresse

Giù la maschera: quota cento e reddito sono nemici della crescita

Luciano Capone

Le due misure comportano “rischi per la crescita potenziale”, dice l’Fmi. Il bluff gialloverde dati alla mano

Roma. Fino a quando lo scriveva il Foglio – o qualche economista come Tommaso Monacelli e Andrea Garnero su lavoce.info – si poteva non rispondere e far finta di non sentire. Ma adesso che lo scrive anche il Fondo monetario internazionale, è forse il caso che l’“inventore del reddito di cittadinanza” risponda (se magari qualche altro giornalista o commentatore glielo chiede). Il reddito di cittadinanza non farà aumentare il pil potenziale ma, anzi, il mix con la controriforma delle pensioni avrà l’effetto opposto: “Gli inconvenienti di progettazione comportano rischi per la crescita potenziale e costi fiscali”, scrive il Fmi nel suo staff report sull’Italia.

   

Ma andiamo con ordine. Sono ormai diverse settimane che Pasquale Tridico, il consigliere economico di Luigi Di Maio, sta facendo il giro dei mass media per spiegare la ratio e gli effetti fantasmagorici del reddito di cittadinanza: paginate sui giornali, interviste nei telegiornali, interventi nei talk-show. L’economista di Roma Tre, ora in forza al ministero del Lavoro, espone i vantaggi della misura “rivoluzionaria” voluta dal M5s e votata dalla Lega. Che sarebbero principalmente due: lo stimolo alla domanda che, attraverso i consumi delle fasce più povere, dovrebbe avere un grande effetto moltiplicativo sul pil; e l’apertura di “uno spazio fiscale aggiuntivo di oltre 12 miliardi di euro” dovuto all’aumento dell’output gap.

    

Sgomberiamo il campo dal primo punto, che è completamente inesistente per stessa ammissione del governo: secondo la relazione del decreto, a fronte di una spesa di 6 miliardi per il reddito di cittadinanza, l’impatto aggiuntivo sul pil sarà di appena 1,8 miliardi, lo 0,1 per cento. Non esiste alcun “alto moltiplicatore”, o almeno, se esiste non è quello del pil ma del debito.

    

Passiamo alla seconda questione che è più tecnica e viene ripetuta, ormai da mesi, da Tridico e accolto acriticamente dai mezzi di informazione. La tesi dell’economista del M5s è  che il reddito di cittadinanza, attraverso l’iscrizione degli inattivi ai centri per l’impiego, “attiva” 1 milione di persone e in questo modo fa aumentare la partecipazione al lavoro e di conseguenza il pil potenziale, ampliando così l’output gap che significherebbe per l’Italia “uno spazio fiscale aggiuntivo di oltre 12 miliardi di euro”. Abbiamo spiegato (il 22 gennaio) perché si tratta di un inefficace trucco contabile ed evidenziato che, in realtà, la manovra agisce in senso opposto attraverso “quota cento”. E’, questa, la stessa analisi che adesso fa il Fmi. 

   

Nello staff report sull’Italia, il Fmi analizza il decreto con le due “misure bandiera del governo”. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, l’istituto di Washington non rileva alcun effetto positivo sulla crescita potenziale e quindi sull’output gap (che è la differenza tra pil reale e pil potenziale). Perché l’output gap è un parametro che non si calcola in maniera meccanica e che non si fa ingannare da trucchi statistici: non basta pagare le persone e iscriverle nei centri per l’impiego per trasformarle da “inattivi” a “disoccupati” e ampliare così lo spazio fiscale.

   

Ma la manovra del governo del cambiamento si regge su due gambe, una è il reddito di cittadinanza e l’altra è la cosiddetta “quota cento”. Ebbene, la controriforma delle pensioni, rivolta a una platea di 350 mila persone, agisce in senso opposto rispetto al reddito di cittadinanza: “disattiva” forza lavoro (un obiettivo tra l’altro rafforzato e reso certo dal divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro). Ciò vuol dire che i prepensionamenti comporteranno una riduzione della forza lavoro, una diminuzione del pil potenziale e, di conseguenza, una contrazione dello spazio fiscale. Nella relazione introduttiva del decreto c’è l’effetto positivo e immaginario del reddito di cittadinanza sul pil potenziale, ma è completamente assente quello negativo e concreto di quota cento. Eppure è questo l’effetto che realmente conta. Nel report sull’Italia il Fmi scrive che le due misure comportano complessivamente “rischi per la crescita potenziale”, perché i prepensionamenti di quota cento “aumentano il numero di pensionati, riducono la partecipazione alla forza lavoro e la crescita potenziale”. Significa che non ci sarà una “apertura” ma una chiusura dello spazio fiscale, cosa particolarmente negativa per un’economia in recessione come quella italiana. Qualcuno dovrebbe spiegarlo, o quantomeno chiederne spiegazione, al prof. Tridico.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali