Sovranisti col cappello in mano
Usa, Cina, Russia. Il governo fa il giro delle sette chiese, ma i capitali scappano
Doveva essere il governo dell’orgoglio patrio e del riscatto nazionale. Finalmente il paese sarebbe stato guidato da una classe politica che va a Bruxelles a battere i pugni e non a sbattere i tacchi, che non si piega alle potenze estere e al capitale straniero. L’impressione, invece, dopo i primi mesi di attività è che il governo del cambiamento stia facendo il classico giro delle sette chiese per un miracolo o al limite un po’ di questua.
La prima tappa del pellegrinaggio è stata la Casa Bianca, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato accolto calorosamente da Donald Trump. Giustamente, perché il presidente americano ha chiesto e ottenuto tutto ciò che voleva: la promessa di una maggiore spesa militare nell’ambito della Nato, la permanenza delle sanzioni alla Russia, il progressivo azzeramento del surplus commerciale italiano nei confronti degli Stati Uniti e la realizzazione del gasdotto Tap. Tutte cose in contrasto con il contratto di governo, ma fa niente, perché è filtrata la soddisfazione per un impegno di Trump ad aiutare l’Italia a domare la bestia dello spread. Al governo ne sono convinti: al momento opportuno Trump dirà ai fondi americani di comprare i bond italiani, garantendoci i rifornimenti e le munizioni per proseguire la nostra guerra contro la sorellastra Germania e l’Europa matrigna. Di certo non aiuta la volontà del governo di revocare la concessione ad Autostrade, visto che azionista di Atlantia è l’americana BlackRock, la più grande società di investimento del mondo. Per il momento, da quando a fine maggio lo spread è schizzato attorno ai 300 punti, il soccorso dei fondi a stelle e strisce non si è visto, anzi.
In due mesi gli investitori esteri hanno portato via dall’Italia sovranista 72 miliardi di euro. Ma magari al momento opportuno BlackRock e gli altri ci riempiranno di dollari, chissà. Nel frattempo il ministro dell’Economia Giovanni Tria vola in Cina per una missione analoga: convincere Pechino a investire da noi. Tutti i suoi predecessori hanno fatto viaggi simili, con scarsi risultati, ma magari Tria ci riesce grazie alle sue ottime relazioni personali con i cinesi.
C’è però un piccolo problema: Pechino è strategicamente in conflitto con Washington per la politica protezionista del nostro partner Trump e anche il premier Conte, alla Casa Bianca, ha attaccato la politica commerciale cinese. Non dovessero arrivare i dollari e neppure gli yuan, c’è l’opzione rublo evocata dal ministro Paolo Savona, che ha già acceso un cero a Putin: in caso di crisi finanziaria e di scontro con la Bce potremmo chiedere alla Russia di diventare il nostro prestatore di ultima istanza. I sovranisti avevano promesso che non avremmo abbassato la testa di fronte alle altre nazioni. Non hanno specificato che saremmo andati sì a testa alta, ma con il cappello in mano.
Difficoltà e soluzioni