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Perché il governo non fa nulla per evitare la tempesta perfetta (e annunciata)

Luciano Capone

Non solo spread e rating. Per evitare un incidente finanziario, dovranno allinearsi anche le dichiarazioni di Di Maio-Salvini e quelle di Tria

Roma. Dopo la fiammata di fine maggio, quando lo spread improvvisamente ha superato i 300 punti base a causa del disvelamento della scriteriata bozza di “contratto di governo” che includeva la richiesta di cancellazione del debito pubblico in pancia alla Bce e lo scontro istituzionale sul nome di Paolo Savona all’Economia (con tanto di richiesta di impeachment del presidente Mattarella da parte del M5s), c’era quasi la sensazione che le cose andavano aggiustandosi. D’altronde il “contratto del cambiamento” è stato modificato eliminando i propositi più assurdi e la crisi istituzionale si è risolta dopo pochi giorni inserendo in alcuni ruoli chiave nomi che avrebbero dovuto dare una maggiore garanzia di equilibrio.

  

Eppure lo spread ha continuato a oscillare nervosamente a un livello elevato, ben oltre i 250 punti, reagendo a ogni dichiarazione di esponenti di governo legastellati e facendo bruciare centinaia e centinaia di milioni, dieci volte le risorse recuperate tagliando i vitalizi.

  

Una pezza a questa emorragia di credibilità e capitali (oltre 70 miliardi di euro in due mesi) ha provato a metterla il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che in ogni occasione pubblica o intervista non ha fatto che dare rassicurazioni sulla tenuta dei conti pubblici e sull’attuazione del programma di governo solo compatibilmente con i vincoli di bilancio, ovvero con “l’obiettivo di assicurare il calo del debito in rapporto al pil e quello che ho definito il non peggioramento del deficit strutturale”, come ha detto Tria a luglio alle commissioni riunite Bilancio. Ancora prima, a giugno, presentando il Def alla Camera, Tria disse che la riduzione del deficit prevista dal governo precedente “è un’evoluzione che è bene non mettere a repentaglio, perché il consolidamento di bilancio e una dinamica decrescente del rapporto debito-pil sono condizioni necessarie per mantenere e rafforzare la fiducia dei mercati finanziari”. Questo è un punto fondamentale, più volte ribadito da Tria: i vincoli finanziari dell’Italia non sono le regole europee, ma la credibilità sui mercati.

  

Le prese di posizione del ministro dell’Economia sono state costantemente intervallate da dichiarazioni di esponenti di maggioranza e di governo che andavano in senso opposto: il vicepremier Di Maio che vuole una finanziaria “coraggiosa” per fare tutto subito, l’altro vicepremier Salvini che dice di non dare retta ai “numeri di Bruxelles”, il ministro Paolo Savona che propone un piano da 50 miliardi di investimenti in deficit e l’eventuale garanzia finanziaria di potenze extraeuropee. Per la stessa missione in Cina, il governo è andato con una doppia delegazione. Una del ministro Tria, che dice di non essere a Pechino per cercare un compratore di titoli di stato visto che il debito è sostenibile, e l’altra del sottosegretario Michele Geraci (capo della “Task Force Cina” del Mise) che invece punta alla Cina come prestatore di penultima istanza in vista della fine del Qe della Bce.

 

La speranza, fino a qualche settimana fa, era che con l’avvicinarsi alla legge di Stabilità le esigenze della campagna elettorale permanente avrebbero lasciato spazio alla realtà dei conti pubblici. Che la divergenza tra le dichiarazioni incendiarie di Salvini e Di Maio e quelle pragmatiche di Tria sarebbe rientrata. E invece negli ultimi giorni c’è stata un’accelerazione in senso opposto: con Di Maio che prima ha minacciato lo stop del pagamento dei contributi all’Unione europea per il mancato ricollocamento di 150 migranti e poi, dalle colonne del Fatto quotidiano, ha rilanciato l’ipotesi di “violare” il tetto del 3 per cento di deficit.

  

Si tratta di una posizione completamente fuori contesto, visto che proprio il 2018 sarà il primo anno dall’inizio dell’unione monetaria in cui tutti i paesi avranno un deficit inferiore al 3 per cento. Non solo: tutti stanno riducendo il disavanzo. L’Italia sarebbe l’unico paese, in una fase di crescita economica, ad andare in direzione opposta con politiche pro-cicliche di spesa. Questa divergenza si riflette appunto nello spread, che sconta proprio l’incertezza politica. Attualmente il rendimento dei titoli di stato è troppo elevato rispetto al rating sovrano. Vuol dire che presto i due indici dovranno allinearsi: o si riduce lo spread o verrà tagliato il rating (che è già a due passi dal livello “spazzatura”). Allo stesso modo, per evitare un incidente finanziario, dovranno allinearsi le dichiarazioni di Di Maio-Salvini e quelle di Tria, le promesse elettorali e i numeri della nota di aggiornamento del Def e della legge di Stabilità. Ma davvero il governo vuole evitare l’Incidente?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali