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Perché il caso Atlantia non incoraggia i fondi americani e cinesi

Alberto Brambilla

BlackRock e Silk Road colpiti dalla bagarre su Autostrade mentre il governo sovranista cerca soldi a Washington e Pechino

Roma. Dopo il crollo del ponte Morandi a Genova martedì scorso, il gioco dello scaricabarile del governo su Autostrade per l’Italia e la controllante Atlantia rappresenta un pessimo biglietto da visita per l’Italia che in queste settimane sonda fondi americani e cinesi per capire se sono disposti a investire nel suo debito e nelle sue infrastrutture.

 

In seguito a messaggi scomposti di esponenti dell’esecutivo il governo si è mosso per revocare la concessione ad Autostrade che gestisce tratte da 2.855 km. L’eventualità è stata accolta con allarme dagli investitori di Atlantia che con l’annuncio della potenziale revoca, il 16 agosto, ha perso 4,2 miliardi di capitalizzazione in Borsa su 5 complessivi dal crollo del ponte due giorni prima.

 

L’agenzia Standard & Poor’s ha abbassato il giudizio su Atlantia e Autostrade da “stabile” a “negativo” confermando il rating BBB+. La decisione riflette “il rischio del crollo del ponte e relativi azioni legali che deriverebbero da sanzioni per danni dalla fine della concessione ad Autostrade” dicendo che in quel caso il downgrade potrebbe essere superiore a un solo gradino, ergo non viene escluso un default.

 

Il fondo americano BlackRock, terzo azionista di Atlantia (5,12), dietro al fondo sovrano di Singapore, Gic (8,14), e alla famiglia Benetton (30,2), è tra gli azionisti scottati dalla vicenda. Il colosso americano non ha rivali al mondo, con 30 mila portafogli e 4.100 miliardi di dollari in azioni, è tra i principali soci delle banche più importanti degli Stati Uniti, ha partecipazioni negli istituti di credito italiani, ed è anche azionista delle agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s. Con la sua piattaforma tecnologica per investimenti Aladin elabora strategie di investimento non solo sulla base di analisi quantitative ma anche qualitative che tengono conto del rischio politico e di variabili strategiche. La pressione politica su Atlantia tocca dunque uno dei principali investitori americani e mondiali. Quelli su cui Giuseppe Conte confida che aiuteranno a calmare il rapido rialzo dello spread comprando titoli di stato italiani, stando a quanto riportato da alcuni media nazionali dopo l’incontro tra il presidente del Consiglio e Donald Trump alla fine di luglio alla Casa Bianca quando il presidente degli Stati Uniti ha detto che “l’Italia è un grande paese in cui investire” durante la conferenza stampa.

 

Da quando il governo sovranista è in carica il differenziale tra i titoli di stato italiani è salito costantemente, toccando di recente i 324 punti base, e gli investitori esteri hanno ridotto la loro esposizione sui titoli italiani per tutelarsi da un aumento del rischio in vista di un’incerta manovra finanziaria che potrebbe portare Roma a uno scontro con la Commissione europea sul finanziamento delle promesse elettorali in deficit. Paradossalmente il governo sovranista ha messo da parte le velleità autarchiche per cercare capitali non solo oltreoceano ma anche in Cina. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, dal 27 agosto al 2 settembre sarà a Pechino per una missione che, secondo Reuters, prevede incontri con il ministro delle Finanze, con la Banca centrale cinese, con l’Autorità di vigilanza, con operatori finanziari e con le principali banche e società fintech. Anche in questo caso la vicenda Atlantia non giova alle relazioni bilaterali del governo che pure sta approntando una task force per favorire investimenti cinesi in Italia. Oltre che da Atlantia (88 per cento) e dal fondo infrastrutturale Appia Investiments (che con il 6,9 unisce il gruppo tedesco Allianz, la francese Edf e il fondo europeo Dif), Autostrade per l’Italia è partecipata dal Silk Road Fund (5), il fondo di investimento in infrastrutture con cui Pechino intende realizzare la “One Belt One Road”, un imponente piano di infrastrutture in area euroasiatica.

 

Probabilmente funzionerà con i Benetton, mala revoca della concessione ad Autostrade non è la strada migliore per battere cassa da americani e cinesi.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.