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E' ora di sotterrare la forca moralista

Redazione

Perché i grillini capiscano che sedere in un cda non è di per sé una colpa

Erano partiti senza freni inibitori, con l’innocente certezza del novizio che esibisce le mani pulite. E allora dagli a “tutti quei politici che hanno preso soldi da Autostr ...”. Poi però si sono accorti che in quella categoria rientrava pure il loro premier, Giuseppe Conte, che in tempi non sospetti era stato legale di Aiscat e dell’A4, insomma al soldo – legittimamente, ma tant’è – delle lobby dei caselli. Allora c’hanno riprovato: “Noi che non abbiamo mai fatto regali ai concess ...”. No, fermi tutti: c’è quel certo Salvini Matteo, in arte ministro dell’Interno, che nel 2008 votò a favore del “salva Benetton”. A quel punto, con maramaldesca prudenza, hanno scelto una strategia subdola, provando a fare filtrare il nome di certi dirigenti del Mef – gente come Antonio Turicchi, attualmente a capo della direzione Finanza e privatizzazioni a Via XX Settembre – che in passato erano stati, sacrilegio!, nel cda di Autostrade. “Questo sì che crea imbarazzo al governo, altroché”, sussurravano dietro garanzia di anonimato ai piani alti del M5s. Ma era evidente che si trattasse, più che altro, di un tentativo di creare un po’ di grane al nemico interno Giovanni Tria, e magari togliere di mezzo qualche alto dirigente ereditato dal precedente governo per fare posto ai propri amici. E insomma anche qui sono stati smascherati, ma indefessi hanno rilanciato: “Chiederemo a tutti i funzionari pubblici che hanno incarichi a vario titolo, anche dentro Autostrade per l’Italia, di dimettersi da uno dei due ruoli”, hanno sentenziato. E però alla fine, per una sorta di bizzarra nemesi, gli unici appestati che sono saltati fuori sono stati proprio gli ispettori – almeno tre, al momento – voluti da Danilo Toninelli nella commissione del Mit che deve indagare sul crollo del viadotto Polcevera. L’ultimo, scovato dall’Espresso, è Bruno Santoro: dirigente cinquantenne del ministero dei Trasporti che fino al 2013 è stato a libro paga dei Benetton.

 

E così appena arrivati al governo, nella trappola della cultura del sospetto su conflitti d’interessi veri o potenziali o solo vagheggiati, ci sono finiti proprio i fustigatori del malcostume italico. Poco male: da queste parti le cacce alle streghe non sono mai state apprezzate, né invocate: e non basterà un “governo del cambiamento” a indurci all’abiura. Semmai si spera almeno che questa clamorosa e imbarazzante serie di sparate autolesionistiche, iniziate già nei giorni del lutto, persuadano i grillini a convincersi di una verità banale: e cioè che l’essere, e ancora di più l’essere stato, consulente di un’azienda, consigliere in una qualche banca o multinazionale, pur ammesso che non sia di per sé un merito – dipende da come si è lavorato – di sicuro non può essere giudicato una colpa per partito preso. Le epurazioni, se d’ora in poi vorranno farle, le motivino, quantomeno, con altri argomenti.

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