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La privatizzazione ha funzionato, acquisire Abertis invece no

Annalisa Chirico

“Le norme italiane non sono meno stringenti di quelle all’estero”. Prima di nazionalizzare si attendano le verifiche. Un paese che smette di investire si condanna al declino. Parla Vito Gamberale, ex ad di Autostrade

Roma. Il suo nome è rimbalzato nelle cronache di questi giorni senza che lui proferisse verbo. Vito Gamberale è proverbiale per il suo riserbo, ancor più quando la voce s’incrina sotto il peso delle 43 vite inghiottite nel vuoto, per una lingua di cemento che non doveva crollare. “Non chieda a me perché il ponte Morandi è caduto, nessuno lo sa. Sono in corso le dovute verifiche, nell’attesa sarebbe opportuno evitare i processi sommari: chi avviò la Rivoluzione francese finì, a sua volta, ghigliottinato”. Nominato nel 2000 amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Gamberale è l’uomo che trasforma la società in una multinazionale. Oggi, al giro di boa dei settantaquattro anni, il manager presiede il fondo Quercus specializzato nel comparto delle rinnovabili. Ingegnere, il 14 agosto 2018 segna un prima e un dopo nella storia delle infrastrutture nazionali. Con la procedura di revoca della concessione formalmente avviata, si profila il ritorno allo stato-padrone, gestore e controllore di se stesso. “La revoca non è un atto emotivo né dimostrativo. Essa risponde a un’esigenza equitativa soltanto a valle di una scrupolosa verifica delle responsabilità in campo. La decisione politica non può prescindere dalle valutazioni tecniche e dai dovuti accertamenti da svolgersi in tempi rapidi. Certe fughe in avanti rischiano di produrre ulteriori danni. La strage di Ustica è un caso paradigmatico: una volta acclarata la vera causa della caduta del velivolo, per mano libica e non per mancata manutenzione, la compagnia Itavia ha incassato risarcimenti ultramilionari”. Lei ha studiato e seguito la privatizzazione della società che gestisce tremila chilometri della rete autostradale italiana. Oggi quel modello è messo all’indice. “Noi italiani abbiamo una singolare capacità di autorappresentarci come i più indisciplinati e scostumati del pianeta. La verità è che abbiamo privatizzato le autostrade dopo spagnoli e portoghesi, poco prima dei francesi. Se si confrontano i modelli di regolazione dei rapporti tra pubblico e privato, si scopre che le nostre norme non sono meno stringenti di quelle in vigore all’estero”. Dopo il crollo sul Polcevera, si moltiplicano gli allarmi per le infrastrutture cosiddette “a rischio”. Il paese è fermo all’epoca delle partecipazioni statali? “A fronte di una media europea di 140 chilometri di rete autostradale per milione di abitanti, l’Italia, con i suoi 6 mila chilometri di autostrade, si attesta intorno ai cento chilometri per milione di abitanti. Eppure siamo stati tra i primi a inaugurare un tratto autostradale, già nel lontano 1924 lungo la direttrice Milano-Varese. Siamo stati il più importante produttore europeo di energia nucleare, salvo poi ritrovarci succubi del petrolio. Un paese che smette di investire nel futuro si condanna al declino”. Il ponte in cemento armato, concepito per un volume di traffico di 10 mila automezzi al giorno, ha sopportato un carico lievitato nel tempo fino a 60 mila unità. Da anni si discute, invano, di soluzioni alternative: il primo progetto della contestatissima Gronda risale al 1984.

 

“Agli inizi degli anni Novanta i lavori per il passante che doveva alleggerire il traffico sul ponte furono appaltati; un bel giorno, un ministro decise di bloccare i cantieri e Autostrade dovette pagare ingenti penali alle imprese che avevano già ottenuto l’assegnazione dei lotti. I Cinque stelle neppure esistevano ma la compagine dei No Gronda era agguerritissima”. Ieri Matteo Salvini, pur dicendosi “sostenitore della compresenza pubblico-privato”, ha confermato la possibilità di nazionalizzare le autostrade. “Prima di assumere una decisione, l’esecutivo dovrebbe attendere l’esito delle verifiche in corso”, commenta Gamberale. Da più parti si è levata una critica per l’impronta distaccata, financo gelida, che ha caratterizzato la comunicazione aziendale. Per l’opinione pubblica Autostrade coincide con la famiglia Benetton, sebbene gli imprenditori trevigiani detengano il 30 per cento dell’azionariato e il resto della torta sia suddiviso tra diversi fondi istituzionali esteri. Il tonfo a Piazza Affari colpisce pure i piccoli risparmiatori. “Sul sito web di Atlantia si può facilmente consultare la compagine azionaria. Alcuni fondi coinvolti sono titolari di quote del debito pubblico italiano: è in gioco l’affidabilità del paese. A me non interessa difendere i Benetton, dico però che, a prescindere dalla loro empatia più o meno spiccata, azionisti e manager sono categorie da tenere distinte. Dalla mia esperienza ho constatato che Autostrade rappresenta per la famiglia una partecipazione azionaria, e il modello gestionale prediletto dai Benetton si fonda sulla delega: pieni poteri e responsabilità in capo ai top manager”. La problematicità degli stralli all’altezza del pilone 9 era nota al ministero delle Infrastrutture e ad Autostrade. Eppure la circolazione su quel tratto non è mai stata interrotta. “Allo stato dell’arte, ogni giudizio è prematuro. In un paese civile, all’indomani di una catastrofe, si piangono i morti e si apre la fase emergenziale. Parallelamente, si svolge la fase delle indagini per accertare cause e responsabilità”.

 

Sul contratto di concessione tra Anas e Autostrade, risalente al 2007, è apposta la firma del suo successore. All’articolo 28 si legge che “il concedente vigila anche sui lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e sui ripristini”; qualora constati che i lavori non sono eseguiti in modo adeguato, esso comunica al concessionario gli adempimenti conseguenti, e anche in questo caso lo stato “vigila e assiste ai lavori, può eseguire prove, esperimenti, misurazioni, saggi e quanto altro necessario per accertare il buon andamento dei lavori”. “Quell’accordo lo conosco soltanto dai resoconti giornalistici, non ho preso parte alla sua definizione – prosegue Gamberale – La concessione definisce i ruoli in modo chiaro e tassativo: i poteri di controllo e vigilanza sono in capo al concedente pubblico, i doveri di manutenzione, sicurezza e gestione del servizio ricadono sul concessionario privato”. Negli ultimi quindici anni Autostrade ha macinato utili per 10 miliardi, dal 2008 i pedaggi sono lievitati del 30 per cento, gli investimenti invece segnalano un trend decrescente. “Le tariffe vengono aggiornate in funzione degli investimenti realizzati: se nel corso degli anni qualcuno è venuto meno ai propri impegni, lo stato disponeva degli strumenti per intervenire. Tali aspetti, regolati in modo dettagliato e trasparente, attengono al rapporto tra controllore e controllato. Sono uscito da Autostrade oltre dieci anni or sono, non ho elementi per pronunciarmi in proposito”. Lei, ingegnere, si dimette nel 2006 in dissenso con la decisione dell’azionista di maggioranza di procedere all’acquisizione della spagnola Abertis. “Ero fermamente contrario, e il tempo mi ha dato ragione. Abertis è tuttora partecipata da un istituto bancario iberico. Resto convinto che i cash flow derivanti dalla gestione delle infrastrutture nazionali debbano essere destinati esclusivamente al paese d’origine e non incamerati da una holding internazionale”.