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Redazione

Perché il miracolismo pentastellato flirta con il sud disoccupato. I dati Istat

Nel 2017 il tasso di disoccupazione si è ridotto dall’11,7 all’11,2 per cento, con andamento in ulteriore discesa (10,8) a dicembre. Migliore risultato dal 2013, quando però il trend era al ribasso, con circa un milione di posti di lavoro quasi interamente recuperati: il Jobs Act ha fatto la sua parte, anche se ovviamente non basta. Sono i dati diffusi ieri dall’Istat, che analizzano le differenze fra nord, centro e sud: con il settentrione a livelli quasi tedeschi (disoccupazione al 6,9 per cento), le regioni centrali pari alla Francia e poco sotto la media europea (10 per cento) e il meridione che con il 19,4 si posiziona tra la Spagna e la Grecia. Questa geografia rispecchia non casualmente il risultato elettorale: i 5 stelle hanno spopolato al sud, il centrodestra al nord, il Pd ha malamente retto al centro. E i primi hanno come è noto in testa al programma il reddito di cittadinanza, che è anche il maggior motivo della vittoria come singolo partito. Anche i dati di ieri smentiscono ulteriormente la validità della ricetta, così come contraddicono l’intera filosofia declinista simboleggiata per esempio dal promesso ministro dello Sviluppo economico Lorenzo Fioramonti, teorico della “decrescita felice”. La decrescita non c’è vistosamente al nord, che al contrario cresce più della media europea e dell’intera Francia tranne Parigi, e neppure in aree del centro come il Lazio il cui export è in ripresa del 17 per cento. Al contrario la Puglia, ex “Lombardia del sud”, ha il 20 per cento di disoccupati: che c’entrino le battaglie No Tap, No Triv, No Ilva e il filogrillismo del governatore Michele Emiliano? Il reddito di cittadinanza illustrato sul Corriere della Sera come “piano 5 stelle per il lavoro” (ripreso tal quale dal blog dell’aspirante ministro del Lavoro Pasquale Tridico – tema discusso nel nostro “girotondo” nell’inserto II di questo numero) prevede un assegno pubblico di 780 euro netti a persona – 1.560 con moglie e figlio a carico – in cambio della partecipazione a ricerche “attive” di un impiego. L’attività prevede che si possano rifiutare fino a due proposte, non la terza “purché equa vicino al luogo di residenza”. Stabilisce inoltre la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per aumentare l’occupazione e incentivare la produttività delle imprese”. Il tutto “si ripagherebbe da solo”. Il Corriere scrive anche che questi sussidi esistono in tutta Europa tranne Italia e Grecia: peccato che dopo il primo “no” a un nuovo impiego si perdano, in Francia e Germania con il rischio di rimborsare quanto ottenuto. Il meraviglioso progetto non tiene conto del lavoro nero: che sempre secondo l’Istat (indagine dell’ottobre 2017) riguarda 3,7 milioni di persone, per la metà al sud, soprattutto nelle costruzioni, agricoltura e servizi. Davvero qualcuno pensa che la disoccupazione retribuita, e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, non siano un incentivo a un primo o secondo impiego nel sommerso? E che non abbia un vago sentore di voto di scambio?

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