Le ong dopo la sentenza Rackete: “Caro Salvini, c'è ancora uno stato di diritto”

Le associazioni in conferenza a Roma. Sea Watch: “Tunisia e Malta non erano praticabili. A ogni sbarco parziale aumentava il rischio di suicidi tra i migranti: la comandante ha evitato un incidente”

Enrico Cicchetti

Al decreto sicurezza bis mancano i presupposti della straordinaria necessità e urgenza. E prevalgono, sulle nuove norme introdotte, le leggi internazionali sul soccorso e il salvataggio in mare e le convenzioni siglate dall'Italia. In sintesi è questa la posizione delle associazioni Tavolo Nazionale Asilo, Antigone, Open Arms, Medici Senza Frontiere, Mediterranea e Sea Watch, che dopo l'esclusione di quest'ultima dall'audizione in commissione parlamentare sul decreto legge sicurezza bis, hanno tenuto una conferenza stampa mercoledì mattina in Sala stampa estera a Roma. 

    

“Questo decreto ha l'obiettivo palese di impedire le attività delle ong di soccorso in mare”, ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia e del Tavolo Nazionale Asilo. Secondo Alessio Scandurra di Antigone nel decreto c'è una “disomogeneità dei temi assoluta”, visto che si affrontano temi diversi che come “unica cosa in comune hanno una presunta emergenza che non sussiste”. Anche secondo Arturo Salerni di Open Arms “mancano i presupposti della necessita e urgenza”. Per Marco Bertotto di Medici Senza Frontiere “il decreto non porta soluzioni” e punta a comprimere “i principi fondamentali della legge del mare e del soccorso internazionale. Criminalizza in modo ignobile i principi di solidarietà”.

   

Ma le accuse più taglienti arrivano da Alessandro Metz, di Mediterranea, e Giorgia Linardi di Sea Watch. Metz ha spiegato che “l'ordinanza del gip” che non ha convalidato l'arresto della comandante Carola Rackete “spiega quello che si rischia di non comprendere cioè che c'è uno stato di diritto, una gerarchia delle fonti, la Costituzione ci dice che le convenzioni internazionali sono dei punti fermi a cui il nostro paese deve adeguarsi”. Anche Linardi è convinta che la lettura dell'ordinanza del gip chiarisce la cose mettendo un punto fermo sulle normative internazionali tanto che nel caso della capitana Carola “un giudice ragionevole non poteva fare altro che quello che ha fatto”. “Che una nave umanitaria venga considerata la più urgente minaccia all'ordine pubblico, credo che questo renda ridicolo il Paese. L'ordinanza di ieri ristabilisce ordine sulla gerarchia delle norme e restituisce dignità al paese”, ha aggiunto la portavoce di Sea Watch, che nel corso della conferenza ha letto stralci della sentenza e ha spiegato le ragioni della ong: “Per Rackete non c’erano alternative a Lampedusa dato che le indicazioni ricevute ci dicevano di andare in Libia, paese in guerra“. Malta è stata scartata “perché risultava più lontana, mentre Tunisi affrontava già una situazione analoga, con 75 persone migranti davanti le acque”. Per 17 giorni, denuncia Linardi, il capitano della Sea Watch 3 “non ha ricevuto nessun tipo di supporto dalle autorità contattate: Paesi europei e organizzazioni internazionali”. L’attivista ha aggiunto: “A ogni sbarco parziale la situazione tra i migranti si deteriorava. Avevamo segnalato il rischio di suicidi tra i naufraghi. Il capitano si è assunto la responsabilità di evitare un incidente”. La comandante Rackete “si trova ancora in Italia, ma contiamo di farla partire presto”.

    
Infine, sull’attracco della Sea Watch 3 al porto di Lampedusa, descritto come uno speronamento, la ong precisa che “la manovra della motovedetta della Guardia di Finanza non era necessaria perché era evidente che la nave stava attraccando. È vero, il capitano Rackete aveva infranto l’alt all’ingresso in porto, quindi possiamo dire che l’infrazione fosse già stata compiuta”. Tuttavia per Linardi “quella della Guardia di finanza è stata una scelta pericolosa”. Sulla stessa questione, l'ex comandante Gregorio De Falco, senatore del gruppo misto, ha spiegato al Foglio perché non si può parlare di “speronamento”.