Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

I guai del Pd con la Libia

David Allegranti

La battaglia sul rifinanziamento delle missioni in Libia diventa un mini referendum su Zingaretti

Roma. “E’ in corso una discussione nel gruppo parlamentare”, dice verso mezzogiorno Nicola Zingaretti, segretario del Pd, sfilandosi dal duello sul voto al rifinanziamento delle missioni internazionali che sta agitando da giorni il suo partito. Tema caldissimo – si parla di Libia e di quale linea il Pd debba tenere – ma Zingaretti in quel momento veste i panni del governatore ed è impegnato a illustrare la “rivoluzione green nel Lazio”. Ripassare più tardi.

 

L’assemblea è dunque nelle mani del capogruppo Graziano Delrio, incaricato di trovare una sintesi in vista del voto di oggi (stamattina ci sarà un nuovo incontro con i deputati per comunicare l’orientamento finale sul voto alla proroga delle missioni). Dalla segreteria arriva Enzo Amendola, responsabile Esteri del Pd, che cerca di rasserenare gli animi.

 

 

Per giorni, infatti, il centrosinistra si è affrontato a colpi di risoluzioni, compresa quella presentata da Matteo Orfini, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi e Roberto Speranza. “Stracciare gli accordi con la Libia dopo che i governi Renzi e Gentiloni hanno ricostruito una politica estera? Non solo non è il caso, ma non sarebbe davvero una cosa di sinistra”, dice Amendola nel suo intervento. “Il nostro obiettivo è svuotare i campi profughi con i corridoi umanitari e i rimpatri volontari, non con gli sbarchi”.

  

La segreteria del Pd è pronta anche a produrre un documento per mettere nero su bianco questo obiettivo (lo svuotamento dei campi profughi), ma “l’offerta” non viene presa in considerazione dal gruppo vicino a Orfini. “E’ incredibile e inaccettabile che ancora una volta Gentiloni e Minniti si sottraggano a questa discussione in una sede politica”, dice nel suo intervento l’ex presidente del Pd, fermamente intenzionato a votare no alla proroga delle missioni internazionali e “chi gestisce i lager in Libia”. Aggiunge Orfini, che nei giorni scorsi è salito a bordo della SeaWatch3 insieme ad altri parlamentari, tra cui Delrio: “Sono stato presidente del Pd per cinque anni e tutte le discussioni più laceranti le ho portate in sede di partito. Questa volta non si è fatta nessuna riunione prima di presentare le risoluzioni, nonostante lo abbia chiesto più volte”.

 

Non è l’unico contrario o ad avere dubbi anche se è senz’altro quello che usa i toni più duri nei confronti di Gentiloni e Minniti, la cui linea invece viene difesa in toto dalla deputata zingarettian-gentiloniana Lia Quartapelle, la più vivace sostenitrice della proroga delle missioni. Non tutti però nella maggioranza sono convinti che la linea Gentiloni sia la soluzione migliore, tant’è che lo zingarettiano Dario Franceschini ha proposto di astenersi su una delle quattro missioni (quella sulle motovedette della Guardia costiera libica che riportano in Libia le persone che provano a fuggire). Un piccolo ma significativo segnale nei confronti non tanto di Zingaretti ma di Gentiloni. Fuori dalla maggioranza che governa il partito, invece, i deputati non si limitano a indicare astensioni e sono parecchio dubbiosi sulla proroga. Come Anna Ascani, che nota il ritardo con cui si è arrivati a questa discussione “molto importante. Forse andava fatta prima. Di certo andava fatta col segretario”.

 

Quindi, si chiede la deputata, “la Libia per noi è un porto sicuro o no? E se non lo è perché la Guardia Costiera può fare ricerca e salvataggio? E perché noi pensiamo che vada finanziata?”. Anche Andrea Romano è contrario a votare così com’è la proroga delle missioni. “Io sono un interventista umanitario”, dice Romano al Foglio. Il tema che pongo riguarda non solo la politica estera ma soprattutto il modo in cui la sinistra si fa carico di difendere i diritti umani anche in Libia. Una questione che a Salvini non interessa, così come non interessa a Putin, che condividono l’offensiva globale contro i diritti umani. A noi invece quel tema interessa e parecchio. Quindi la domanda che dobbiamo porci noi, in modo blairiano, è questa: cosa facciamo di fronte ai massacri che ci sono in Libia? Ci limitiamo a rinnovare le missioni cosí come sono, dicendo che va tutto bene, oppure facciamo un passo in più incalzando il governo e la comunità internazionale a prendersi ancora più responsabilità per fermare i massacri in Libia? Io dico la seconda”. Aggiunge Romano: “Non sono d’accordo con la linea isolazionista di chi dice, come Nicola Fratoianni, che dobbiamo rinunciare ad assumerci responsabilità. Dal punto di vista di un interventista umanitario come me dobbiamo invece assumerci responsabilità crescenti, senza neanche escludere la possibilità di un intervento militare multilaterale, perché – lo spiega anche l’Onu – i libici non stanno rispettando gli impegni sul fronte diritti umani. Altrimenti come possiamo tenere insieme il fatto che saliamo sulla SeaWatch con la bandiera dei diritti umani se non partecipando al miglioramento delle condizioni di vita nei campi profughi in Libia? Amendola, peraltro, su questo è stato molto condivisibile: sottolineando l’urgenza che il Pd si batta per svuotare i campi della morte. E io sono d’accordo con lui”. C’è tempo fino a stamani per trovare una soluzione unitaria. Ed evitare di trasformare il voto sulla Libia in un mini referendum sul nuovo segretario.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.