Papa Francesco e Donald Trump (foto LaPresse)

Il Papa sgancia la bomba dall'aereo: “E' un onore se gli americani mi attaccano”

Matteo Matzuzzi

Il rapporto complicato di Francesco con gli Stati Uniti

Roma. “Per me è un onore se mi attaccano gli americani”, scrive l’agenzia Ansa riportando una battuta del Papa in alta quota, mentre sorvolava l’Africa raggiungendo il Mozambico (prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in Madagascar e alle Isole Mauritius). Nicolas Seneze, inviato del giornale francese La Croix, gli ha donato un suo libro, dal titolo inequivocabile: Come l'America vuole cambiare Papa. Francesco, consegnando il volume ai collaboratori ha aggiunto: “Questo libro è una bomba”. Il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, capendo subito le potenziali conseguenze della battuta, è immediatamente intervenuto, spiegando che “in un contesto informale il Papa voleva dire che considera sempre le critiche un onore, particolarmente quando provengono da importanti pensatori e, in questo caso, da una nazione importante”. Tutte cose che il Papa non ha detto, ma che evidentemente pensava. Vatican News, l’organo ufficiale, ha cercato di salvare il salvabile e dopo le notizie sui “sorrisi in spazi stretti” e le battute sugli ascensori – domenica Francesco è rimasto chiuso venticinque minuti in un ascensore a causa di calo di tensione – fa sapere che il libro “fotografa una realtà critica, ma proprio le ‘critiche’ sono considerate dal Papa ‘sempre un onore’”. Titolo del paragrafo: “Il pregio di un rilievo”. Seneze ha spiegato al Pontefice l’origine delle critiche rivolte contro la sua persona, critiche di destra provenienti da settori (e media) ben riconoscibili.

 

Al di là dell’incidente – perché di questo si tratta, al di là delle ovvie e massicce dosi di edulcorante sparse dopo l’uscita papale – si conferma un problema (enorme) tra Francesco e gli Stati Uniti d’America. Un problema evidente fin dal 2013, come peraltro confermava il maestro di Bergoglio, padre Juan Carlos Scannone, “non si tratta di avere riserve sugli Stati Uniti in quanto tali, ma sugli Stati Uniti in quanto potenza egemonica. Il Papa non appoggia l’egemonia, da qualunque parte essa venga. Preferisce un mondo multipolare”. Stati Uniti che dopo sei anni di pontificato restano poco propensi a essere ridotti a faccia del poliedro così caro al Papa argentino. E poco hanno potuto sia i potenti discorsi tenuti da Francesco durante la sua visita in terra americana nel 2015, sia il massiccio ricambio nella compagine episcopale, disarmando il più possibile la vecchia guardia dei guerrieri conservatori e sostituendola con profili più in linea con l’agenda oggi ufficiale. Nonostante la discontinuità manifesta, concretizzatasi in porpore date (Cupich, Tobin) e negate (Chaput, Gomez), il chicco per ora ha dato poco frutto. Neppure la decapitazione simbolica del fu cardinale liberal Theodore McCarrick, decisa e portata a termine da Francesco, gli ha fatto guadagnare consenso tra le file del solido conservatorismo cattolico d’oltreoceano. Sono due mondi che non si capiscono. Lo storico Massimo Faggioli, scuola progressista, lo diceva al Foglio qualche anno fa: “I suoi rapporti con il mondo anglosassone sono molto limitati. E’ un problema culturale, ha avuto pochissimi rapporti con quella realtà. E poi è un latinoamericano, il che comporta una certa quantità di antiamericanismo. Negli Stati Uniti questo si sa bene, solo che non si può accusare esplicitamente il Pontefice di essere anti yankee. E’ una questione latente”. E non ancora risolta.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.