Donald Trump e Papa Francesco (foto LaPresse)

I cattolici stanno voltando le spalle a Trump

Matteo Matzuzzi

Brutte notizie per il presidente americano in cerca di rielezione 

Roma. Donald Trump farebbe bene a preoccuparsi dei cattolici se vuole restare alla Casa Bianca per altri quattro anni. Non tanto dei cattolici sui generis che affollano le primarie democratiche, ma dell’elettorato cattolico che nel 2016 preferì lui a Hillary Clinton, risultando determinante per il trionfo repubblicano. Negli ultimi decenni mai nessuno è entrato alla Casa Bianca senza aver vinto, anche di poco, il voto cattolico. L’ultimo sondaggio Quinnipiac – istituto serio – stima infatti che il 55 per cento dei cattolici sostiene di aver già deciso di negare il voto a Trump alle presidenziali del prossimo anno. Il 32 per cento gli ridarà fiducia e il 12 ci penserà. Anche se gli indecisi alla fine propendessero per The Donald, il risultato sarebbe 55 per cento a 44, un margine che – ha rilevato il Religious News Service – “rappresenterebbe un duro colpo alle sue speranze di rielezione”. Lo dicono i numeri e i precedenti: tre anni fa i cattolici americani scelsero Trump (50 a 46 per cento) mentre già alle midterm dello scorso novembre i rapporti di forza erano invertiti: il 50 per cento ai democratici, il 49 ai repubblicani. Il dato rilevante è che è proprio tra i cattolici che si osserva un’erosione più marcata del consenso: tra i cristiani non cattolici, coloro che votarono Clinton erano il 39 per cento, mentre oggi voterebbe per un candidato democratico il 41 per cento. Poca roba. Resiste il bacino evangelico, che è pronto a scegliere di nuovo Trump in massa: tra il 60 e il 75 per cento.

 

Chi è che ha cambiato idea rispetto a tre anni fa? I primi indiziati sono i latinos, vuoi per il muro al confine con il Messico, vuoi per l’adozione di politiche non proprio pensate per quella larga – e sempre più larga – parte della popolazione americana. Sbagliato. I latinos non si sono spostati in massa verso i democratici – o meglio, votano quello che già votavano prima – ma a essersi mossi sono i cattolici bianchi. E’ qui che Trump ha perso sempre più terreno e nulla fa intravedere un cambiamento. Il problema, per i repubblicani, è evidente: perdere consenso in questo gruppo di elettori significa probabilmente consegnare all’avversario quegli swing states moderati che sempre in America consegnano le chiavi della Casa Bianca. Bastano poche migliaia di voti per far cambiare di segno le elezioni. A maggior ragione se nel campo avverso c’è pure Joe Biden, cattolico liberal ma dal volto rassicurante. Il fenomeno è interessante perché evidenzia la spaccatura profonda che c’è all’interno della chiesa americana, divisa tra i nostalgici delle culture war e chi guarda alla linea bergogliana. Una divisione netta ed evidente che raggiunge i vertici episcopali, con i “nuovi” – i cardinali Blase Cupich e Joseph Tobin e il neoarcivescovo di Washington, Wilton Gregory – a cercare di scardinare il conservatorismo muscolare che per quasi un trentennio ha guidato – con qualche anno di pausa – la politica ecclesiale degli Stati Uniti. Dopotutto l’indirizzo giunto da Roma è chiaro, basta considerare le nomine di questi anni a indicare che una fase va chiusa.

 

Ma c’è un altro aspetto che viene sottolineato nel commentare la disaffezione cattolica per Trump e ha a che fare con la predilezione dell’attuale Amministrazione per gli evangelici e per la relativa agenda. Un innamoramento poco ideale ma poco concreto, considerando che senza il loro appoggio – il vicepresidente Mike Pence copre abbondantemente Trump su quel fronte – non vi sarebbe mai stata una vittoria repubblicana alle presidenziali del 2016. Il problema è che, salvo presso l’ala iperconservatrice del cattolicesimo americano, quell’intesa ha “raffreddato” i cattolici più moderati. La sfida per la squadra dell’attuale presidente è quella di recuperare almeno parte di quell’elettorato disilluso. Un fallimento in quest’opera di ricucitura precluderà ogni possibilità di rielezione.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.