Manifestanti pro-Trump al confine tra Stati Uniti e Messico (foto LaPresse)

Perché la guerra commerciale del Messico è persa in partenza

Eugenio Cau

Chiudere le frontiere per evitare i dazi. Trump vuole che tutto il paese sia il suo muro, e il presidente messicano deve piegarsi

Milano. Lo scorso anno, quando Andrés Manuel López Obrador (per tutti Amlo) è stato eletto a stragrande maggioranza presidente del Messico, molti hanno elencato Donald Trump tra le ragioni del suo successo. Il predecessore di Amlo, Enrique Peña Nieto, di centrodestra, era apparso debole e remissivo davanti al populista che insolentiva i vicini del sud a giorni alterni, e in più di un’occasione si era fatto umiliare pubblicamente. Meglio eleggere al suo posto un populista di sinistra come Amlo, che in campagna elettorale più e più volte ha risposto con durezza alle sparate di Trump, per combattere populismo con populismo. Amlo è salito al governo alla fine dell’anno scorso, mentre Trump era impegnato nella guerra commerciale con la Cina e con l’Europa. E’ riuscito a passare inosservato finora, ma quando Trump è tornato a rivolgere la sua attenzione al confine sud, nemmeno lui è riuscito a sfuggire alle umiliazioni.

 

Il presidente americano, vedendo che il numero dei migranti che arrivano dalla frontiera sud è in aumento e impotente davanti all’opposizione del Congresso e della magistratura che non gli consente di costruire un muro lungo il confine, ha deciso di usare l’arma che per ora gli sta dando più soddisfazioni sul piano internazionale: ha annunciato che a partire da lunedì prossimo applicherà dazi del 5 per cento su tutte le importazioni che arrivano dal Messico a meno che il paese non riesca a bloccare l’immigrazione clandestina. Le tariffe si alzeranno al 25 per cento in ottobre.

 

Amlo avrebbe potuto condannare la mossa, far notare come cercare di risolvere il problema migratorio con dazi economici è come curare il mal di testa con il collutorio, magari minacciare dei controdazi. Invece, quando due giorni fa, durante il suo viaggio in Europa, Trump ha detto: “I messicani hanno bisogno di noi, non noi di loro”, Amlo, silenziosamente, ha concordato. Il Messico non è la Cina né tantomeno l’Europa, e per ora le ricette economiche del nuovo presidente non stanno funzionando: questa settimana Fitch ha abbassato il rating del Messico e Moody’s ha abbassato l’outlook, e la crescita del pil si è contratta nei primi tre mesi dell’anno. E mentre gli americani esportano in Messico circa il 15 per cento della loro produzione, le esportazioni del Messico negli Stati Uniti sono l’80 per cento del totale. La guerra commerciale con Trump è persa in partenza.

 

Così Amlo ha immediatamente mandato a Washington il suo ministro degli Esteri Marcelo Ebrard, ex sindaco di Città del Messico molto celebrato, e ha fatto capire che è pronto a tutto pur di allontanare le sanzioni. Ha aumentato in maniera consistente gli arresti degli immigrati centroamericani alla propria frontiera, ha fatto promettere a Ebrard che ulteriori 6.000 uomini della Guardia nazionale messicana saranno mandati al confine per impedire l’ingresso degli “indocumentados” e ha mandato un messaggio di riconciliazione via l’altro. Ma Trump dà il meglio di sé quando può infierire su un avversario debole, e vuole di più. In particolare, vuole che il Messico accetti di essere riconosciuto come “paese terzo sicuro” in cui i migranti possono essere registrati e trattenuti. Adesso il Messico non è considerato un paese sicuro per i migranti a causa dei suoi alti livelli di criminalità, e per questo quando guatemaltechi e hondureñi si presentano alla frontiera con gli Stati Uniti la polizia di frontiera è costretta ad accoglierli in territorio americano per sbrigare le pratiche d’asilo. I centri di accoglienza ormai sono vicini al collasso, e Trump vuole che i migranti rimangano in Messico.

Amlo non può fare altro che piegarsi. Per oggi il presidente messicano ha organizzato una grande manifestazione a Tijuana, sulla frontiera. “Un atto di unità per difendere la dignità del Messico”, ha detto Amlo, che poi ha aggiunto: “e in favore dell’amicizia con gli Stati Uniti”. Ecco. 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.