Donald Trump (foto LaPresse)

Trump twitta un ricatto economico (e suicida) contro il Messico

Daniele Raineri

Se il governo messicano non ferma i migranti, Washington imporrà una tassa del 5 per cento più alta ogni mese

Roma. Con una mossa che potrebbe essere un suicidio economico, il presidente americano Donald Trump ha annunciato via twitter che a partire dal dieci giugno imporrà un dazio del 5 per cento su tutti i beni importati dal Messico se il governo messicano non fermerà i migranti che arrivano fino al confine americano. Il dazio, scrive Trump, aumenterà del cinque per cento ogni mese, quindi diventerà del dieci per cento il dieci luglio, del quindici per cento il dieci agosto e così via fino ad arrivare al venticinque per cento e resterà a quel livello fino a quando il governo messicano non avrà fermato il flusso di migranti.

 

L’anno scorso l’America ha importato dal Messico beni per 346,5 miliardi di dollari. Prendiamo questo numero come riferimento: vuol dire che se il governo messicano non fermasse l’afflusso di migranti – ma cosa vuol dire “fermare i migranti”? Come si misura in pratica? – allora gli americani dovrebbero prepararsi a pagare tra ottobre 2019 e ottobre 2020 una maggiorazione di prezzo di 86 miliardi di dollari per comprare gli stessi beni. Oppure dovranno trovare altri fornitori, ma in alcuni casi non è così facile. Per prima cosa, l’importazione di beni messicani in America era una tendenza in aumento a cui sarà difficile rinunciare, il mercato era in piena salute, nel 2018 c’era stato un incremento del dieci per cento proprio perché le condizioni erano vantaggiose. Inoltre per alcuni stati americani le importazioni dal Messico fanno parte della struttura dell’economia locale. Il 40 per cento delle importazioni dell’Arizona viene dal Messico. Il 38 per cento del Michigan. Il 35 per cento del Texas. Soprattutto per gli stati al confine, l’aumento dei dazi potrebbe aprire una crisi. Beto O’Rourke, il candidato democratico alle presidenziali che viene dal Texas, venerdì ha scritto: “L’anno scorso il Texas ha importato 107 miliardi di dollari dal Messico. I nostri agricoltori, i nostri uomini d’affari, le nostre manifatture hanno venduto in Messico beni per 110 miliardi di dollari. Se non fermiamo questi nuovi dazi, la tassa a carico del Texas sarà di 27 miliardi. Ma nessuno stato sarà risparmiato”. Beto è naturalmente di parte, ma anche la Borsa ha reagito con lo stesso sgomento e l’indice S&P 500 ha perso subito l’1,4 per cento (una discesa a tuffo). Gli analisti intervistati dal sito di Bloomberg News avvertono che il Messico produce i pezzi di ricambio usati dalle industrie automobilistiche americane e quindi la tassa si ripercuoterà lungo la catena degli acquirenti. Il capo della commissione Finanze del Senato, Chuck Grassley, e con lui altri senatori repubblicani (quindi del partito di Trump), dice che questo ultimatum potrebbe bloccare la ratifica dell’Usmca, che è l’accordo di libero commercio con Messico e Canada che dovrebbe sostituire l’accordo precedente, il Nafta, e che avrebbe rappresentato una vittoria per l’Amministrazione Trump.

 

L’annuncio è un gesto molto duro che ancora una volta riguarda i migranti che arrivano in America dal confine con il Messico. La questione è diventata il punto centrale della politica di Trump, un’ossessione che lo spinge a mosse poco ragionate. In campagna elettorale annunciò la costruzione di un muro per bloccare gli arrivi che doveva essere costruito a spese del Messico, che però rifiutò. A dicembre 2018 Trump accettò di bloccare la macchina amministrativa dell’intero paese nel cosiddetto shutdown (quando il budget federale non è approvato i dipendenti non ricevono la paga, che di solito prendono ogni due settimane) per costringere i democratici ad approvare uno stanziamento di cinque miliardi di dollari per costruire il muro al confine. Minacciò di farlo durare “per anni, se sarà necessario”. Trump però non si era reso conto che i dipendenti federali lasciati senza stipendio possono andare avanti soltanto per poche settimane, poi devono abbandonare i loro posti e cominciare a cercarsi un altro modo per mantenere le famiglie e pagare le spese e quindi dopo 35 giorni – lo shutdown più lungo della storia – dovette cedere e concesse la vittoria ai democratici, ai quali era bastato semplicemente stare fermi e aspettare. 

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)