La cerimonia di benvenuto del presidente americano Donald Trump a Londra. Al suo fianco la regina Elisabetta e la moglie Melania (Foto LaPresse)

Quello di Trump a Londra non è più fuoco amico

Paola Peduzzi

Il presidente americano replica tre dei suoi format classici e fa la rissa con il sindaco Khan

Milano. Ogni volta che Donald Trump si muove verso la sponda europea dell’Atlantico, tutti quanti iniziamo a parlare di “fuoco amico”: l’alleato di sempre si è fatto burbero e capriccioso e mostra il suo animo più ostile nei momenti più sentiti e più simbolici per noi europei. Sta avvenendo anche in questi giorni: Trump è in Europa per le celebrazioni del 75 anniversario del D-Day, un evento che ha cambiato – salvato – la nostra storia, ma nessuno sa più come maneggiarlo. Gli inglesi, che per tre giorni ospitano il presidente americano nella sua prima visita di stato ufficiale, sarebbero in ogni caso i meno adatti: tormentati da una crisi d’identità epocale, non sanno più di chi fidarsi, né dentro né fuori il Regno Unito. Ma già dall’esordio di questa visita – la prima delusione è stata la capigliatura di Trump: da due giorni non si fa che parlare della sua nuova acconciatura mostrata nel fine settimana, ma oggi aveva al suo arrivo la cotonatura di sempre – possiamo levarci anche l’ultima illusione semantica: non è fuoco amico, il suo, è fuoco e basta.

 

Prima di partire per Londra, Trump aveva parlato dei suoi due “amici” britannici, l’ex ministro degli Esteri Boris Johnson che ha iniziato oggi la sua campagna per diventare il nuovo leader dei Tory e quindi il nuovo premier, e Nigel Farage, che con il suo Brexit Party nato da un paio di mesi ha appena sbancato le elezioni europee. I due “amici” sono brexiteers falchi e fantasiosi, sognano un Regno Unito libero dall’orpello europeo come se fosse un nuovo impero e ogni volta che qualcuno li riporta alla realtà – i famigerati dettagli della Brexit – si innervosiscono, si offendono, non rispondono. Trump è il Mr Brexit d’America, alimenta la fantasia del nuovo corso liberatorio del Regno Unito dicendo che si faranno affari d’oro insieme, e polarizza ulteriormente un dialogo tra sordi. Già l’estate scorsa in visita a Londra Trump aveva sgridato la premier, Theresa May, per il poco coraggio sulla Brexit: quest’anno non la cita proprio, è un’anatra zoppissima che venerdì si dimetterà, non ha alcun interesse. Meglio prendersela con il sindaco di Londra, Sadiq Khan, che invece conta ancora. 

 

Trump applica il suo format anche alla politica britannica: prende un politico avversario, gli dà un soprannome e gli rovescia addosso tweet e battute, un occhio all’estero e uno all’America, ché la campagna elettorale non finisce mai. Khan è un Bill De Blasio ma più basso (De Blasio è il sindaco di sinistra di New York), un “perdente” che dovrebbe occuparsi della criminalità invece che del presidente americano, che comunque è un alleato storico del Regno. Khan aveva detto che Trump non era il benvenuto, “uno che parla come un fascista del XX secolo” non ha posto a Londra e oggi, rispondendo alle parole insultanti del presidente, ha pubblicato un video molto preciso sui valori occidentali che l’America di Trump, “ritornando indietro”, ha smesso di rappresentare.

 

Il presidente ha anche riproposto altri due grandi classici del suo repertorio: l’attacco alla stampa e la negazione dell’evidenza. Accendendo la tv nella residenza dell’ambasciatore americano a Londra (Buckingham Palace è in ristrutturazione e non c’era posto), Trump si è lamentato del fatto che all’estero si guarda solo la Cnn, e poi per forza che non si capisce niente dell’America, la Cnn è tutta fake (l’anno scorso, in conferenza stampa, non diede la parola a un giornalista “fake”). Prima della partenza, come da tradizione, il presidente ha rilasciato delle interviste, prediligendo naturalmente i media della famiglia Murdoch, e in un video dice che la moglie del principe Harry, Meghan, è “nasty”, perché molto critica con lui (la principessa neomamma oggi non era ad accogliere Trump assieme alla Regina Elisabetta: benedetto congedo di maternità). Poi quella parola, “nasty”, è stata emendata, e questo è un bene, ma Trump ha detto di non averla mai pronunciata. C’è una prova ascoltabile da chiunque, ma in questa stagione sciagurata il presidente degli Stati Uniti dice al popolo: non credete alle vostre orecchie.

 

Il fuoco è fuoco e non è più amico, ma a chi serve? Mentre Trump guardava assieme alla Regina la collezione reale, il Labour di Jeremy Corbyn diceva di partecipare alla protesta contro Trump con il babypresidente palloncino alto nel cielo, i conservatori al governo criticavano il Labour così irrispettoso, Boris Johnson e Nigel Farage controllavano il telefono per vedere se infine Trump li avrebbe convocati. Di certo oggi il presidente vede la May, che essendo stata causa dei tormenti di questi ultimi anni s’è presa la responsabilità di gestire gli ultimi fuochi. Tutti i rospi, che siano il disastro elettorale o l’alleato riottoso, li bacia lei, tanto nel principe azzurro non ci spera più.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi